Paoline Multimedia di via del Mascherino 94
14 giugno 2016 – ore 18.30
Luigi Accattoli risponde alle domande di Romano Cappelletto dell’Ufficio Stampa Paoline
“Amoris Laetitia”: già il titolo dà la cifra del modo stesso in cui papa Francesco intende affrontare il tema “famiglia”: la famiglia “gioia dell’amore”
Con la scelta di quel titolo il Papa ha voluto segnalare l’intenzione di una presentazione in positivo del messaggio della Chiesa sulla famiglia: il desiderio di famiglia che c’è tra i giovani nonostante tutto – la felicità della vita familiare come argomento principe per la promozione della famiglia nell’umanità di oggi – la famiglia come prima risorsa della Chiesa. Per questa positività vanno letti i capitoli 3, 4, 5 dell’esortazione: La vocazione della famiglia, L’amore nel matrimonio, L’amore che diventa fecondo. L’esortazione è lunga ma leggibilissima, accessibile a ogni persona abituata a leggere. Affascinante, a lasciarsi prendere.
Nel titolo c’è il richiamo alla “Evangelii Gaudium” e alla “Gaudete in Domino” (Paolo VI, maggio 1975) e alla “Gaudium et Spes”. Ma anche a Benedetto XVI, paragrafo 13 della lettera apostolica “Porta fidei” con cui nel 2011 indisse l’anno della fede: “La gioia dell’amore [Amoris laetitia], la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione”.
Paragrafo 3: nell’incipit Francesco usa l’espressione IL TEMPO E’ SUPERIORE ALLO SPAZIO: anche qui si può notare un approccio “nuovo”, potremmo dire “poco rigido/cristallizzato”?
Non amo gli assiomi bergogliani: “Il tempo è superiore allo spazio”, “L’unità prevale sul conflitto”, “La realtà è più importante dell’idea”, “Il tutto è superiore alla parte”. Faccio difficoltà a capirli. Ma amo questo paragrafo tre, uno dei più importanti dell’esortazione: “Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano”. Qui c’è l’invito a uscire da una uniformità che non è più sostenibile nell’oggi del pianeta, la provocazione a ripensare la missione nel segno dell’inculturazione.
Paragrafo 35: Il papa evidenzia come ci si trovi obiettivamente in una situazione globale di “crisi” dell’istituto familiare. Ma, a differenza di tanti “esperti della lamentela”, lui va oltre, denunciando la “retorica dei mali”. In che senso?
Questa sì che è una buona domanda! Il Papa ci invita a prendere atto realisticamente della situazione della famiglia nel mondo d’oggi e a non fermarci al capitolo della lamentazione. I due Sinodi del 2014 e del 2015 avevano svolto una ricognizione ampia dei mali della famiglia, che l’esortazione riprende nel capitolo 2: “La realtà e le sfide delle famiglie”. Nulla viene sottaciuto: individualismo, cultura del provvisorio, affettività narcisistica, fragilità delle coppie, assenza dei padri. Ma la spinta è a reagire a queste “sfide” con “creatività missionaria”: questa è l’umanità alla quale la Chiesa deve oggi presentare il Vangelo della famiglia. Un’eccessiva insistenza sui mali porta a erigere barricate che non aiutano la missione verso i giovani, anzi allontanano i giovani dalla Chiesa. Sempre in materia di lamentazioni, il Papa invita addirittura all’autocritica su come il Vangelo della famiglia è stato trasmesso fino a ieri: “A volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica” (paragrafo 31). Francesco segnala due errori storici dei quali fare autocritica: l’aver posto “un accento quasi esclusivo sul dovere della procreazione” e l’aver sviluppato una “idealizzazione eccessiva” del matrimonio. Altro accenno autocritico sul “valore del sesso” è al paragrafo 150.
Paragrafo 54: tra gli elementi importanti nello sguardo alla realtà della prima parte dell’Esortazione, c’è un accenno alla condizione della donna…
Il paragrafo citato accenna a “costumi inaccettabili” di subordinazione della donna, alla “vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne”, dai “maltrattamenti familiari” a “varie forme di schiavitù”; alla “grave mutilazione genitale della donna in alcune culture”, alla “disuguaglianza dell’accesso a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi in cui si prendono le decisioni”. Si segnalano mali antichi e nuovi: “La storia ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe, ma ricordiamo anche la pratica dell’’utero in affitto’ o la ‘strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica’”. Infine il femminismo: “Se sorgono forme di femminismo che non possiamo considerare adeguate, ammiriamo ugualmente l’opera dello Spirito nel riconoscimento più chiaro della dignità della donna e dei suoi diritti”. E’ un argomento nel quale il Papa ha detto di più, nelle sue catechesi, di quanto avessero affermato i due Sinodi: dalle note che accompagnano il testo si vede con chiarezza questo suo andare oltre il dettato sinodale.
Paragrafo 56: la questione gender. Si sarebbe portati a pensare che, con la sua modernità, il papa possa in qualche modo accettare alcune ideologie sessuali: al contrario, il papa è molto chiaro…
Sono molte – oltre a questa – le proteste dell’esortazione nei confronti della post modernità: in un post che ho pubblicato nel mio blog ne ho elencate 12: utero in affitto (paragrafo 54), “Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI” (82 e 222), il male dell’aborto (83) e del divorzio (246), la secolarizzazione che “offusca il valore di un’unione per tutta la vita” (162). Valga per tutte l’affermazione di portata generale che troviamo al paragrafo 52: “Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società”. Il documento va letto senza pregiudiziali ideologiche, svolgendo un discernimento coerente delle intenzioni e dei contenuti di ogni sua pagina.
Paragrafi 74-150-152-157: il tema della sessualità. Molto è cambiato, anche prima di papa Francesco e di questa Esortazione, nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della “sessualità”. Ma qui, nell’Esortazione, questo cambiamento di prospettiva risulta finalmente chiaro, “ufficiale”…
Dirò che lo sguardo positivo sul sesso in questo documento ha una funzione centrale e non più periferica. “La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”: questo è l’attacco dell’esortazione e chi l’ha letta sa che in essa “gioia dell’amore” vuol dire anche gioia dell’erotismo.
Ecco alcune massime luminose che in un post del mio blog ho raccolto sotto il titolo “Cantico di Francesco alla gioia dell’amore”:
“L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è per gli sposi via di crescita nella vita della grazia. È il mistero nuziale” (74).
“Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano” (149).
“Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature” (150).
“L’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità” (151).
“I momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione. I coniugi danno forma con vari gesti quotidiani a questo spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore risorto” (317). Suggerisco di confrontare quest’ultima citazione al brano della “Porta Fidei” di Papa Benedetto che ho riportato nella risposta alla prima domanda, dal quale Francesco ha preso l’espressione “Amoris laetitia”: in ambedue la “gioia” è raccordata alla Risurrezione.
Paragrafo 173: essere donna e madre. Francesco, anche qui propone una felice sintesi: la donna finalmente riconosciuta nella sua pari dignità, ma confermata nel suo “dono” specifico, a cui non deve rinunciare in nome di un femminismo estremo… è una sintesi possibile?
Abbiamo già visto in risposta ad altra domanda una valutazione positiva del femminismo. Ed eccone una negativa: “Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità né la negazione della maternità […]. Le capacità specificamente femminili – in particolare la maternità – conferiscono alla donna anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e preservare per il bene di tutti” (173). Il procedere di Francesco è libero da opzioni ideologiche: prende il buono dove lo trova. Può riconoscere qualcosa di buono in Pannella e nel femminismo, ma può anche dire con schiettezza la sua critica all’uno e all’altro.
Nell’esortazione c’è anche quest’inno la gioia della maternità, nel quale Francesco si fa poeta: “Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con affetto: abbi cura della tua gioia, che nulla ti tolga la gioia interiore della maternità. Quel bambino merita la tua gioia […]. Vivi con sereno entusiasmo in mezzo ai tuoi disagi, e prega il Signore che custodisca la tua gioia perché tu possa trasmetterla al tuo bambino” (171).
Paragrafi 241-242-246: anche sul tema delle separazioni, l’atteggiamento del papa si mostra in una sintesi tra dottrina chiara (“Il divorzio è un male”) e la capacità di includere sempre, di non abbandonare chi vive situazioni difficili (con un occhio di riguardo, in questo caso, ai figli)…
Andrebbe letto e commentato l’intero paragrafo 297: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino. Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare […]. Ma perfino per questa persona può esserci qualche maniera di partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di preghiera, o secondo quello che la sua personale iniziativa, insieme al discernimento del Pastore, può suggerire”. “Si tratta di integrare tutti” possiamo vedere in questa sentenza il cuore del cuore dell’intero messaggio papale. Ognuno che abbia interesse ad avere un qualche rapporto con la comunità, si tratti pure di un peccatore e di un polemico. Poniamo quel teologo polacco che si è professato gay militante alla vigilia dell’ultimo Sinodo e ha chiesto che la Chiesa cambi la sua dottrina sull’omosessualità: anche costui, se volesse prendere contatto con una parrocchia, questa dovrebbe trovare il modo di “accoglierlo”.
Paragrafo 251: questione delle unioni omosessuali: qui il papa “non transige”?
Il testo è molto severo e riporta l’affermazione che era nella “Relatio Synodi” 2015: “Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (251). Forse il Papa avrebbe detto di più se il Sinodo gliel’avesse permesso. Questo dell’omosessualità è uno dei casi per i quali sono immaginabili approfondimenti e sviluppi regionali, o continentali, come abbiamo letto al paragrafo 3. Per l’Europa e le Americhe si poteva dire di più, io credo: l’apprezzamento per le unioni omosessuali stabili in confronto a quelle randagie, il riconoscimento del diritto a una protezione legale di tale unione, quali per esempio sono espressi dal cardinale Schoenborn nell’intervista alla “Civiltà Cattolica” del 26 settembre 2015.
Per concludere (capitolo 8 “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità” in particolare par. 300-304-305 – ma anche paragrafo 79): dottrina chiara, ma saper valutare bene le situazioni. Possiamo dire che è in questa perfetta sintesi tra identità/chiarezza di valori e capacità di saper contestualizzare, la grande novità dell’Esortazione?
La novità è nell’avvio di un processo: abbiamo un documento papale che non scioglie, non conclude, non sentenzia sulle questioni disputate; ma invita l’intera Chiesa ad approfondire, a cercare ancora. Quanto poi alle famiglie ferite, l’esortazione formula “un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone” (6). Anche qui non detta norme ma chiama a “discernere”.
L’esortazione non opera un mutamento dottrinale e questa non è un’affermazione diplomatica per tenere buoni gli oppositori: davvero tra le possibili vie per un ampliamento della “misericordia pastorale” (307ss) Francesco ha scelto quella del discernimento delle singole situazioni, che era già praticata nel foro interno e che non sfiora neanche la dottrina sull’unicità e l’indissolubilità del matrimonio. Avrebbe potuto percorrere l’altra via che gli era stata proposta, quella detta “penitenziale”, che aveva avuto il cardinale Kasper e un’équipe del Consiglio per la famiglia tra i principali sostenitori: essa aveva il vantaggio d’essere meno indeterminata ma aveva lo svantaggio di incrociare questioni dottrinali, perché avrebbe comportato una precisazione di tempi, modi, responsabilità, che invece la via del discernimento neanche nomina. Il materiale raccolto dal Consiglio per la famiglia è nel volume “Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile. Contributo interdisciplinare per l’approfondimento sinodale” (Libreria Editrice Vaticana, pagine 552, euro 24).
Che si resta sulla via del discernimento sperimentata dalla tradizione viene affermato con chiarezza: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari” (300).
E viene anche chiarito perché lo studio di un caso non possa mai condurre alla formulazione di una norma: “È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione” (304).
Dunque non c’è nulla di nuovo? No, c’è la novità. Essa è nel passaggio da un discernimento personale in foro interno condotto in solitudine e affidato alla casualità dell’incontro con un confessore preparato; nel passaggio, dicevo, a un discernimento che è pur sempre personale e in foro interno ma è proposto in un documento papale, che invita ad accompagnarlo con un discernimento pastorale ed ecclesiale, affidato alla responsabilità dei vescovi (al paragrafo 300 si afferma che esso va condotto “secondo gli orientamenti del vescovo”) e per il quale l’esortazione fornisce alcune affermazioni papali di indirizzo, due soprattutto:
“Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (301); “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti” (305 e nota 351).
Si tratta di due affermazioni senza precedenti nel magistero papale. Due affermazioni che formulano in termini di consapevolezza comunitaria (foro esterno) quanto era già noto alla coscienza ecclesiale ma trovava espressione nel solo foro interno. In quelle due affermazioni va cercata la vera novità magisteriale dell’esortazione. Essa attiene al peccato e alla grazia: Papa Francesco ci ha chiamati, come Chiesa, a discernere su ciò che più conta nella vocazione cristiana. Non ha dettato il discernimento, e non l’ha normato. Ha detto che esso dev’essere operato e deve restare “dinamico e sempre aperto” (303).