Il vescovo Nunzio Galantino, segretario della Cei, riconosce il dovere dello Stato di legiferare sulle «unioni di tipo diverso» che vengono crescendo nella società ma trova il disegno di legge Cirinnà avvolto in un «velo di ipocrisia» per togliere il quale ritiene necessario lo scorporo della questione delle adozioni e l’eliminazione dei rimandi al «diritto matrimoniale». Quanto a un eventuale Family Day dice che la Cei non lo promuoverà ma neanche lo impedirà e se un vescovo vorrà parteciparvi dovrà farlo a titolo personale e senza pretendere che vi partecipino gli altri: è il cappello di una mia intervista a Galantino pubblicata oggi dal Corsera a pagina 15 con questo richiamo in prima: «Sì a una legge sulle unioni civili ma non si parli delle adozioni».
Galantino sul Family Day: ci va chi vuole
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Ringrazio Luigi per aver voluto affrontare l’argomento, per quanto scomodo e divisivo.
Nel merito della questione, partecipando a diversi “dibattiti” tra cattolici mi sono reso conto che nella chiesa italiana esistono molti credenti che non sentono l’urgenza di testimoniare una visione della famiglia coerente con i valori del cattolicesimo. Se il dibattito politico affronta la questione del matrimonio e della famiglia, perchè i solo cattolici devono tacere e accodarsi al pensiero dominante? Perchè non si coglie la necessità di una testimonianza coerente? Perchè non intendere come atto di carità e come opera di misericordia (ammonire i peccatori, insegnare agli ignoranti, consigliare i dubbiosi…) la partecipazione “franca” al dibattito e la proposta di una visione cristiana dell’uomo, della famiglia e della società?
Perchè rassegnarsi all’afasia e all’insignificanza?
La CEI può decidere di non partecipare e di non incoraggiare il Family Day, ma i vescovi italiani non possono nascondersi dietro a un dito e ignorare che il PD di Renzi, insieme ad altre organizzazioni laiciste e di sinistra, sta portando avanti un attacco molto forte alla famiglia. E’ necessaria una risposta chiara e inequivocabile: se il Family Day non convince tutti, si proponga un’altra iniziativa, un gesto unitario, un segno che testimoni alla società italiana del 2016 che la famiglia è un valore irrinunciabile e che non può essere confuso con forme diverse di convivenza.
Dal blog di Costanza Miriano:
” Che vuol dire che la Chiesa deve assumere un atteggiamento di “umiltà, disinteresse, beatitudine” – le tre parole d’ordine consegnate da Papa Bergoglio all’ultimo convegno ecclesiale di Firenze -? Che cosa significa questo nel caso specifico della battaglia sulle unioni civili: niente battaglie politiche, niente posizioni pubbliche, niente piazze, nessuna approvazione esplicita a chi giudica sbagliato un determinato disegno di legge?
La vulgata, cara ai politici che vogliono salvare la faccia davanti ai cattolici, e accolta a braccia aperte dalla massa di non credenti e ipocredenti (copyright Camillo Langone), vuole che questo atteggiamento disinteressato si traduca in una chiesa che dice di non avere nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, a patto che si investa anche sulla famiglia. Questa in soldoni la posizione. Io credo che, al contrario, questa sia una posizione eminentemente politica (parola alla quale non do affatto un’accezione negativa: magari ci fosse un partito di veri cattolici, io per esempio sono piena di amici che non sanno più chi votare). Non condivido la posizione, ma credo appunto che sia una posizione politica, cioè di una Chiesa che vuole dire la sua sulle leggi dello stato.
Una chiesa umile e disinteressata, per come la vedo, dovrebbe invece preoccuparsi prima di tutto del destino ultimo dei suoi figli, e non degli equilibri politici. Una chiesa della beatitudine è una chiesa che per fede sta in mezzo al mondo tormentato rimanendo serena; è una chiesa che insegna ai suoi a prendere sul serio le beatitudini – non vi è altra strada -: la beatitudine, per esempio, di avere fame e sete della giustizia, e quella di non temere le conseguenze delle proprie posizioni, fossero anche persecuzioni (sugli insulti stiamo già a posto, grazie).
Noi credenti abbiamo bisogno di pastori che siano padri con noi, che sappiamo dirci la verità con dolcezza e fermezza, abbiamo bisogno di padri che vogliono la verità sull’uomo, non di uomini pubblici che dicono allo stato come fare le leggi, perché tanto i parlamentari fanno già tranquillamente come pare loro senza aspettare benedizioni, e tra l’altro una chiesa così è sempre meno influente sul piano politico (vedasi legge sul divorzio breve). Non vogliamo pastori come tanti di quelli tedeschi, che strizzano l’occhio al mondo, e poi hanno le chiese vuote, perché la gente è attratta dalla grandezza, le cose a buon mercato le trova ovunque. Ma non è la debolezza politica di una chiesa siffatta che mi preoccupa. Ben venga l’irrilevanza e la marginalità, se ci salviamo l’anima. O non ci crediamo più che c’è una vita eterna dopo questa?
Ovviamente la verità non viene imposta a nessuno, chi non la vuole ascoltare non vada in chiesa, ma la chiesa ha il dovere di annunciarla, i pastori la devono difendere a costo della loro vita, o almeno della carriera. Lo stato farà le sue leggi, sapendo che c’è un popolo di credenti – non tanto piccolo a giudicare dalla piazza del 20 giugno – che la pensa diversamente, e che vorrebbe essere difeso e sostenuto dai suoi pastori. Non vescovi pilota che capeggiano manifestazioni, ma padri preoccupati della felicità dei loro figli. Se non sono manifestazioni che sia una preghiera ardente, ma con un’intenzione chiara e ben scandita. Padri pronti a morire perché i bambini abbiano un padre e una madre. I politici faranno i loro conti. Forse ne pagheranno le conseguenze, se i credenti grazie ai loro pastori avranno mantenuto le idee chiare. Forse no, andranno lisci. Ma questo non è un calcolo che deve interessare la chiesa.
Per tutto questo, credo che il gesto più impolitico che potessimo fare sia stato scendere in piazza – e lo faremo di nuovo se servirà – per gridare all’uomo la verità su se stesso, per difendere i bambini, per lottare per la felicità dell’uomo, incuranti delle reazioni politiche, delle alleanze. Umili, disinteressati, beati per il sole che ci ha baciati dopo l’acquazzone.
(dal blog di costanza Miriano)
Sono trascorsi meno di quindici anni da quando, nel giugno 2003, la Congregazione per la Dottrina della Fede, il cui prefetto era un certo Joseph Card. Ratzinger, diffondeva un documento formidabile e per diversi aspetti profetico intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Sono trascorsi meno di quindici anni, ma sembra passato un secolo a giudicare da come e, soprattutto, da quanto quell’intervento sia stato rimosso persino da parte di quei politici cattolici che ad esso, specie in risposta alle istanze del movimento gay e di quanti ne appoggiano le rivendicazioni, sarebbero più degli altri tenuti ad ispirarsi. Tuttavia non tutto il male viene per nuocere giacché «il vantaggio della cattiva memoria – per dirla col filosofo Nietzsche (1844-1900) – è che si gode parecchie volte delle stesse cose per la prima volta». Siamo pertanto nella condizione, tanto più in una fase che vede il nostro Parlamento impegnato nell’esame di un’iniziativa legislativa in materia di unioni civili fra persone dello stesso sesso – il c.d. ddl. Cirinnà, dal nome della sua prima proponente –, di riscoprire quel documento della Congregazione per la Dottrina della Fede che a ben vedere, benché intarsiato di rimandi alle Sacre Scritture, si configura come difesa essenzialmente razionale della famiglia naturale fondata sul matrimonio.
Infatti – come si legge in apertura – «la verità naturale sul matrimonio» risulta non fondata bensì «confermata dalla Rivelazione» (I.,3), puntualizzazione alla quale ne segue un’altra, assai poco politicamente corretta, secondo cui a differenza di quelle matrimoniali le relazioni omosessuali – scrive l’ex Sant’Uffizio – «contrastano con la legge morale naturale» (I.,4), tesi che oggi verrà giudicata “omofoba” ma che, ben prima Paolo di Tarso (Cor 6,9-10), avevano più o meno esplicitamente formulato pensatori tanto illustri quanto certamente non cristiani e consapevoli dell’esistenza dell’omosessualità quali furono prima Platone (Leggi, 836 B) e poi Aristotele (Etica Nicomachea, 1148b 24-30). Ora, posto che alla non approvazione morale delle relazioni fra persone dello stesso sesso non segue, se non nella logica ristretta di alcuni, alcuna legittimazione di odio o discriminazione, è innegabile come l’odierna difficoltà di cogliere la nozione stessa di «legge morale naturale» sia conseguenza non solo di povertà filosofica inescusabile, ma pure dell’insistita quanto ingannevole sovrapposizione – promossa da alcuni – fra ciò che è conforme alla legge naturale e ciò che, molto più banalmente, è conforme ai costumi in un dato contesto di una data epoca. Detta truffaldina sovrapposizione merita attenzione perché è proprio a partire da essa che taluni asseriscono la compatibilità tra il matrimonio fra persone dello stesso sesso e la famiglia così come definita dalla nostra Costituzione (art. 29).
Torniamo però al documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, dove la consapevolezza della centralità della «legge morale naturale» non oscura quella per cui «il compito della legge civile è certamente più limitato» (III.,6); del resto già Tommaso d’Aquino (1225–1274) tracciava il perimetro del diritto positivo non già facendolo coincidere con quello del diritto naturale, bensì individuandone i retti confini in ciò che minaccia il bene comune e la sopravvivenza della società (Cfr. Pizzorni R. Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Esd 1999, pp. 314-329). Questo spiega come mai le unioni civili sono da rigettare, e cioè non tanto e non solo perché «contrastano con la legge morale naturale» – aspetto che, come detto, da solo qui non giustifica un divieto – ma perché attentano al bene comune. In che modo? «Considerando i valori in gioco, lo Stato – scrisse la Congregazione guidata dal Card. Ratzinger – non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un’istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio». D’altra parte, in che modo rimarrebbe tutelata e promossa la famiglia – il cui preziosissimo ruolo generativo era ben chiaro ai nostri Padri Costituenti, che vollero tutelare solo la famiglia fra uomo e donna così come già definita nel codice civile del 1942 (C.C. sent. n. 170/2014), tanto che impegnarono lo Stato ad aiuti «con particolare riguardo alle famiglie numerose» (art. 31) – una volta che questa, di fatto, fosse equiparata ad altre unioni, per di più strutturalmente e non già accidentalmente sterili quali sono quelle fra persone dello stesso sesso?
Senza trascurare il fatto – denunciando il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede ha mostrato capacità profetica – che il riconoscimento delle unioni civili, specie con le disposizioni del ddl. Cirinnà, comporta «l’equivalenza legale delle unioni omosessuali al matrimonio propriamente detto, senza escludere il riconoscimento della capacità giuridica di procedere all’adozione di figli» (II.,5). Contrastare il riconoscimento delle unioni civili non significa dunque, in Italia, negare diritti fra l’altro già largamente tutelati dal nostro ordinamento anche per le coppie conviventi composte da persone dello stesso sesso: si pensi solo – per rammentarne alcuni – alla possibilità di stipulare di accordi di convivenza per interessi meritevoli di tutela (ex art. 1322 cc), di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente (C.C. sent. n. 404/1988), di vista in carcere al partner (D.P.R 30 n. 230 del 2000), di risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (Cass., sez. unite Civ., sent. 26972/08), di obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (L. n. 91 1999), di permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del convivente (L.n. 53 2000), di nomina di amministratore di sostegno (artt. 408 e 417 cc), di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p.).
No: respingere le unioni civili significa anzitutto difendere il primato familiare. Significa, se si è credenti, preservare il piano di Dio, mentre se non lo si è fare in modo che tutti si ricordino cosa sia una famiglia – riconoscimento che non esige alcuna adesione confessionale – e che il diritto dei figli ad un padre ed una madre non sia calpestato da un inesistente diritto “ai” figli. La Congregazione per la Dottrina della Fede, aggiungendo al proprio intervento ulteriore profezia, ipotizzò pure lo scenario – già reale in diversi Paesi – dell’avvenuta approvazione delle unioni civili: «Nel caso in cui il parlamentare cattolico si trovi in presenza di una legge favorevole alle unioni omosessuali già in vigore, egli deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione: si tratta di un doveroso atto di testimonianza della verità» (IV, 10). Quanti politici cattolici, oggi, rendono un simile, «doveroso atto di testimonianza della verità»? La risposta è dolorosa benché purtroppo non sorprendente. Una ragione in più, allora, per battersi contro il c.d. ddl. Cirinnà, proposta da avversarsi non solo per quelle ragioni di ordine relativo alla retta ragione, di ordine biologico e antropologico, di ordine giuridico e di ordine sociale così ben illustrate nelle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omosessuali, ma anche perché per molti, dopo divorzio, aborto e fecondazione extracorporea, sarebbe premessa di un nuovo letargo della ragione e del coraggio. Ma ragione e coraggio non hanno certo bisogno di altri letarghi bensì di un risveglio che, giorno dopo giorno, si rende sempre più urgente.
(“La Croce”, 13.6.2015, p.5).
Chissà se il prossimo Family Day avrà l’appoggio delle forze che erano scese in campo l’altra volta? Chissà se avrà lo stesso successo?
cara Antonella Lignani una possibile risposta alle tue domande può venirti da questo post di Sandro Magister:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351209
Lo scrivevo stamattina: penso che la decisione di non andare al Family Day da parte dei vescovi sia corretta. Del resto non puoi pensare di metterti frontalmente: quando la Chiesa l’ha fatto è stata debacle (vedasi il 1974). Questa non sarà la Porta Pia di Papa Francesco.
In compenso mi pare che Galantino – saggiamente – stia cercando di fare buon viso a cattivo gioco, così come torno a ripetere che la Cei abbia commesso un pesante errore di prospettiva 10 anni fa bocciando i Di.Co. Una cosa era trattare con Prodi e la Bindi; un’altra con la Cirinnà e Renzi che tanto si voteranno tutto, utero in affitto incluso, grazie a M5S. Terno secco sulla ruota di Via Aurelia 468. E mi duole l’anima dirlo.
In risposta a Tonizzo
UNIONI CIVILI: BINETTI “DA CIRINNÀ SINCERITÀ SELVAGGIA”
ROMA (ITALPRESS) – “Bene ora e’ chiaro per tutti: la legge sulle
unioni civili, qualunque sia verra’ ribaltata nella prossima
legislatura. Ribaltata la sentenza della Consulta, che mentre
chiede tutela dei diritti delle persone omosessuali, distingue
chiaramente tra matrimonio e unioni civili; ribaltato
l’emendamento dei colleghi Lepre-Fattorini che ha ribadito la
differenza sostanziale tra unioni civili e matrimonio. Tutto
spazzato via: le unioni civili nel 2018 diventeranno un vero e
proprio matrimonio gay. Lo afferma la Cirinna’, senza distinguo di
nessun tipo. La sua legge e’ una legge costituzionale e lei e’
totalmente decisa insieme a suoi colleghi del Pd, a voler iniziare
la partita per il matrimonio gay, facendone un punto chiave nel
programma Pd 2018. E’ solo un problema di numeri: secondo la
Cirinna’ oggi i numeri per un matrimonio egualitario non ci
sarebbero, ne’ alla Camera ne’ al Senato, ma nella prossima
legislatura si’, ci saranno. Grazie, quindi alla Cirinna’ per la
sua sincerita’ selvaggia”. Lo dichiara la deputata di Area
popolare Paola Binetti.
“Spesso ci sentiamo dire con un certo rimpianto: sarebbe stato
meglio approvare i Dico 10 anni fa. Ebbene se 10 anni fa avessimo
approvato i Dico oggi sarebbe in discussione il matrimonio gay,
con prerogative identiche a quelle del matrimonio previsto dalla
nostra Costituzione, compresa la complessa e delicatissima
gestione del rapporto con i figli. Inutile il dibattito sulla
Stepchild adoption, inutile pensare a un affido rafforzato,
inutile pensare a specifiche garanzie per i minori. La Cirinna’ –
spiega Binetti – non si e’ sbagliata inserendo nel suo ddl tutti i
riferimenti al matrimonio con un copia-incolla stucchevole, era
evidentemente cio’ che voleva, cio’ per cui si prodiga e cio’ che
riproporra’ appena possibile. Vale la pena ricordarlo ora, il 30
gennaio quando scenderemo in piazza e qualche giorno dopo quando
saremo chiamati al voto. Il voto del 2016 e magari anche quello
del 2018”.