Giornata dell’Arcidiocesi di Bologna
per gli insegnanti di religione
Seminario Arcivescovile – piazza Bacchelli 4
Lunedì 22 giugno 2009 – ore 15,00
Non sono un docente di religione né lo sono mai stato. E non sono neanche un arabista o altro esperto titolato a parlare di islam. Sono solo un giornalista che si è applicato all’accoglienza degli islamici in Italia e che a tal fine ha condotto un’inchiesta per la rivista Il Regno poi confluita nel volume ISLAM. STORIE ITALIANE DI BUONA CONVIVENZA (EDB 2004). Quell’inchiesta comportò il dialogo con tanti islamici e toccò spesso il tema dell’insegnamento della religione nella scuola. Basandomi su quanto mi insegnò quel lavoro e avendo interpellato diversi insegnanti di religione che hanno avuto nelle loro classi alunni musulmani, formulo in quattro punti la sostanza della mia comunicazione.
Primo: parlare con gli alunni musulmani prendendo l’iniziativa con approccio amichevole, da “fratelli” in Abramo.
Secondo: usare un linguaggio a loro comprensibile e da loro accettabile come lingua comune, privilegiando l’approccio culturale e storico.
Terzo: non evitare le questioni disputate ma porle rispettando le loro convinzioni anche quando non le possiamo condividere.
Quarto: sollecitare l’interlocutore musulmano a reagire alla nostra esposizione e a esporre ai compagni, se crede, la propria esperienza.
Quanto al parlare: formulo così, con voluta semplificazione del problema, la questione del dialogo. Se parlo di “dialogo con l’islam” iniziano subito le dispute e non arrivo neanche a dire il mio pensiero. Evito dunque quel termine – qui e altrove – e dico “parlare”.
La prima spinta a parlare con immigrati islamici mi venne da un incontro in treno, sull’Eurocity Milano-Parigi, un sabato mattina di cinque o sei anni addietro. Leggevo il Vangelo di Luca e in faccia a me era seduto un tunisino che leggeva il Corano. Anzi, lo cantava sottovoce. Si chiamava Habib e mi raccontò che lavorava a Milano e aveva la famiglia a Parigi. Stava tornando dalla moglie e dai figli, a fine settimana. “Mi piace l’Italia diceva – ma di più la Francia, perché capisco il francese, che ho fatto a scuola, in Tunisia”. Gli dissi che parlava bene l’italiano: “Me lo dice tanti, ma io paura a parlare”. Ci raccontammo la vita, era contento di conversare. Ma disse: “Perché cominciato tu!” Io scesi a Torino Porta Susa e ci salutammo fraternamente. “Tu Vangelo e io Corano”, e rideva.
Dopo l’incontro con Habib pensai che forse anche uno come me poteva fare qualcosa per l’avvicinamento ai cultori dell’autentico islam. Qualcosa che sa fare un giornalista e che non è molto diverso da ciò che sa fare un insegnante: intervistare e raccontare storie.
Girando per l’Italia, ho posto la domanda sull’islam e ho raccolto piccole vicende. Quando dicevo che andavo cercando il vero islam, mi riferivo a un’espressione del papa Giovanni Paolo II, che una volta aveva affermato l’intenzione della Chiesa cattolica di voler incontrare “l’islam, l’autentico islam: l’islam che prega, che sa farsi solidale con chi è nel bisogno” (Astana, Kazakhstan, 24 settembre 2001).
Primo: parlare da amici dell’islam che prega
Tutti sappiamo le difficoltà di quell’incontro. Io ho provato ad aiutarlo narrando i casi di buona convivenza: un insegnante di religione forse può provarci applicando alla presentazione dell’islam lo spirito della buona convivenza.
Ho provato a narrare la buona convivenza, invece degli scontri, non perché io sia un ingenuo, come mi sono sentito obiettare da diversi cui avevo chiesto segnalazioni di storie, ma perché gli scontri già sono veicolati – e anche ingranditi – dal normale circuito dei media. Puntando dunque sulle storie positive non temevo di distorcere la realtà, ma speravo di contribuire a raddrizzarne la percezione.
Direi lo stesso per l’insegnante che provi a parlare dell’islam con parole e sentimenti che potrebbero incontrare gli alunni musulmani che avessero ad ascoltarlo: egli non lo farà per buonismo e come io ho cercato di narrare la buona convivenza senza nascondere quella cattiva, così quell’insegnante di buona volontà non nasconderà agli alunni in generale e agli eventuali alunni islamici le questioni spinose del rapporto tra noi e il mondo musulmano.
Considero la via della narrazione – purchè obiettiva e critica – come un’ancora rispetto agli sbandamenti della polemica. Analogamente vedrei l’iniziativa di “parlare” dell’islam amichevolmente a scuola come un rimedio all’islamofobia montante che caratterizza la nostra vita pubblica.
La via della cultura e della storia fornisce un buon terreno per un approccio sdrammatizzante. Ci sono state le guerre e le conquiste e le crociate, ma ci sono stati anche tanti esempi di convivenza e a volte il mondo islamico è stato più colto e anche più tollerante del nostro; mentre in altri periodi è avvenuto il contrario e oggi viviamo un incattivimento del rapporto che tutti dovremmo impegnarci a superare. Un giorno l’apostasia era condannata dagli uni e dagli altri, domani forse anche l’islam supererà quella condanna. Una volta l’islam conquistò con le armi forse metà delle terre cristiane, mentre in un’epoca più recente il mondo “cristiano” colonizzò per intero quello musulmano, dal Marocco all’Indonesia: molte dunque le reciproche ferite e i risentimenti. Nel Medioevo comunità cristiane sono sopravvissute in ambiente musulmano (in Iran, Iraq, Siria, Egitto, Libano, Giordania, Palestina), seppure in condizione di sudditanza, mentre nessuna comunità musulmana è sopravvissuta in ambiente cristiano. Un altro aiuto all’incontro potrebbe essere fornito dalla letteratura e dai mistici musulmani.
Venendo all’oggi, nel corso delle mie interviste sono venuto facendo delle scoperte conoscitive che mi hanno indotto a mutare idea su più aspetti della questione islamica e che penso potrebbero essere utili a un insegnante di religione, che magari ne fa di analoghe nel contatto con alunni musulmani..
Metto per prima la facilità con cui i musulmani osservanti entrano nelle chiese, o vengono a contatto con i simboli del cristianesimo. Quella facilità è più frequente della nostra disponibilità a fare altrettanto. Dunque non temete, se li avete in classe, di coinvolgerli nella riflessione che state proponendo ai vostri alunni.
Per secondo segnalo il vero pudore di cui sono portatori, che arriva al timore dei corpi nudi e che noi quasi più non capiamo. Ma dovremmo almeno provare a immaginare lo stordimento dell’immigrato che arriva su una nostra spiaggia e che fino ad allora “delle donne aveva visto soltanto gli occhi” (come raccontava uno dei miei intervistati). Tenete sempre conto che tra i vostri ragazzi avete anche questi, che hanno tali genitori e dunque portano con sé quel pudore, che è magari più forte di quanto non ne siano consapevoli.
Per terza indico la vitalità con cui le donne musulmane si accostano al nostro modo di vivere: partono svantaggiate, ma vanno più spedite degli uomini e meglio di loro apprezzano le nostre libertà. Forse le alunne musulmane vi porranno più problemi degli alunni, o potrebbe essere che risultino più ricettive della parola “diversa” che potreste dire loro.
Sono spesso interessati al cristianesimo
Infine l’interesse dei veri musulmani per il cristianesimo, il “profeta Gesù”, la figura di Maria, la fede e la preghiera dei cristiani. Si manifesta sia a livello colto, sia nella quotidianità, con il musulmano che interroga l’amico cristiano, o accetta di essere interrogato. Farete la scoperta che i ragazzi musulmani staranno attentissimi a quanto esporrete, di certo più dei loro coetanei cristiani o indifferenti.
Il confronto ravvicinato con l’Islam – cui oggi siamo chiamati – credo ci aiuti a intendere la nostra situazione spirituale. Faccio un solo esempio: il musulmano che prega penserà – e ci dirà – che non trova nulla di cristiano in una città come Roma (l’affermava uno dei miei intervistati). E lo dirà, innanzitutto, in riferimento alla mondanità degli addobbi pubblicitari e dell’abbigliamento giovanile. Noi l’inviteremo ad andare oltre la prima veduta e gli parleremo dei gruppi di preghiera, dei contemplativi, delle case di accoglienza, dei volontari della Caritas. E’ importante che lui avverta questa presenza cristiana silenziosa, ma è ugualmente importante che noi comprendiamo quella sua percezione del deserto religioso che caratterizza la nostra vita pubblica.
Ma rientriamo in aula. Probabilmente avrete un alunno islamico che è lì solo perché non ha alternative, ma non ha optato per la vostra ora. Sarà interessatissimo a tutto quello che direte, perché si sente giudicato. Starà pronto a difendersi dalle battute dei compagni, che gli tirano addosso Bin Laden, la condizione della donna nella poligamia e i terroristi suicidi a ogni pie’ sospinto. Qui il problema sarà contenere gli altri e aiutare il piccolo musulmano nella sua difesa. Ma anche motivarlo a interloquire fuori della polemica.
E’ frequente anche il caso dell’alunno – o alunna – musulmano, o musulmana, che invece è di piena seconda generazione, di carattere sveglio e vivamente orgoglioso della sua cultura e della sua fede. Egli accetterà con entusiasmo di spiegare la sua religione e lo farà con una fierezza che meraviglierà i compagni.
Attenzione: potreste anche avere in classe un’alunna islamica che i genitori hanno iscritto all’ora di religione cattolica e che partecipa esattamente come gli altri, anche lei di seconda generazione, perfettamente integrata e che pensa “Prof, che palle l’islam!” Vi toccherà dunque difendere il Profeta anche da questa sua piccola seguace secolarizzata, come già dovevate difendere Gesù da giovanissimi cristiani appena cresimati.
Generalmente non dovreste trovare difficoltà con le famiglie degli alunni musulmani, che a volte addirittura preferiscono che i loro figli seguano l’insegnamento cattolico piuttosto che crescano “senza religione”. Anche il presepe o altra forma di ricordo del Natale non provocherà problemi. Più delicata, e di molto, è la presentazione della croce e della Pasqua: l’idea del Cristo che muore, essendo Dio, ripugna al buon musulmano. Anche l’Eucarestia è un argomento spinoso, a motivo della divinità che si fa pane e soprattutto a motivo del vino, che l’islam condanna.
Per molti aspetti del raffronto culturale tra la fede cristiana e quella musulmana potrà essere utile il riferimento alla terza fede abramica che è quella ebraica. Per molti elementi ardui nel nostro contesto – circoncisione, divieti alimentari, norme di purità rituale, proibizione delle raffigurazioni del divino – sarà utile far presente che le stesse regole o regole analoghe sono seguite dagli ebrei e che l’islam le ha prese da lì.
Più delicata è la questione della posizione della donna: il fatto che fino a 50 anni addietro le nostre donne portassero un fazzoletto in testa, la presenza tutt’ora delle nostre suore con un vestimento similare, la varietà della condizione femminile nei diversi paesi (con nazioni musulmane – Turchia, Pakistan, Bangladesh e Indonesia – che hanno eletto delle donne alle massime cariche, che noi in Italia mai abbiamo avuto) dovrebbero aiutare ad affrontarla con elasticità. Ma ovviamente c’è il nodo della poligamia, che va trattato con veracità e con delicatezza a un tempo, anche in rapporto alle alunne sia musulmane – che potrebbero restarne offese – sia non musulmane che potrebbero sentirsi motivate al disprezzo.
Distinguere sempre l’islam dall’islamismo
Su come affrontare la più scomoda delle questioni disputate, che è quella del rapporto tra religione e violenza e che coinvolge il problema del terrorismo islamico, propongo di aver presenti quattro distinzioni: l’Islam che prega, il fondamentalismo islamico, l’islamismo politico e il terrorismo islamista.
L’Islam che prega va onorato.
Il fondamentalismo islamico va contrastato culturalmente.
L’islamismo politico va combattuto politicamente.
Il terrorismo islamista va prevenuto e represso, con l’intelligence e con le armi. Ma non con la guerra, che coinvolge i popoli e ingrossa la sfida del terrore: la incoraggia, la inasprisce, la moltiplica.
Secondo gli specialisti della materia il fondamentalismo islamico (al quale si imparentano l’islamismo politico e il terrorismo islamista) raggiunge il 15% circa dei musulmani che vivono sul pianeta. Per l’Italia La civiltà cattolica (15 novembre 2003, p. 383) ritiene che esso “non superi probabilmente il 10-15% del totale”. Restringendosi alla componente “radicale”, che considera legittima la violenza “per imporre l’Islam”, Magdi Allam lo valuta – per l’Italia – al “tre-quattro per cento del totale” (stima fornita durante una puntata de Il Grillo di Rai educational, trasmessa il 2 aprile 2001). Nell’impresa di “parlare” con gli alunni musulmani che seguono le vostre lezioni potreste dunque partire dall’ipotesi che verosimilmente avrete a che fare, con almeno otto probabilità su dieci, con ragazzi che avvertono come pacifica l’ispirazione religiosa della propria famiglia e si sentono in imbarazzo per il fatto che la nostra cultura pubblica viva con tanto allarme la loro presenza tra noi.
Ho conosciuto da vicino – e per tanti aspetti ho apprezzato – Oriana Fallaci, ma considero un errore il suo grido di battaglia contro l’Islam che “ha dichiarato guerra all’Occidente” (La forza della ragione, Rizzoli 2004, p.275): perché è l’islamismo che ha dichiarato quella guerra e non l’islam. E disapprovo il suo disprezzo della religiosità islamica, espresso per esempio in questo brano: “Io sono atea, graziaddio. Irrimediabilmente atea. E non ho alcuna intenzione d’essere punita per questo da quei barbari che invece di lavorare e contribuire al miglioramento dell’umanità stanno sempre col sedere all’aria cioè a pregare cinque volte al giorno” (Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, Rizzoli, Milano 2001, p. 79).
Per rapportarsi utilmente a un interlocutore, occorre cogliere il meglio della sua anima e il meglio dell’Islam è la preghiera. Da questo punto di vista, la Fallaci è la peggiore interprete della sfida che l’Islam pone all’Occidente. Voi potreste essere invece i migliori: o meglio, potreste trovarvi nella posizione migliore, in quanto docenti di religione, per “parlare” con gli alunni musulmani delle nostre scuole partendo da ciò che loro hanno avuto di meglio dalla loro tradizione, che è quella capacità di pregare cinque volte al giorno che sempre ci dovrebbe stupire. Noi che abbiamo avuto da Gesù l’indicazione “pregate incessantemente” e che tanto poco – forse – lo facciamo.