“Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro. In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!
E’ un passaggio del discorso che il papa ha tenuto ieri pomeriggio nel campo dei profughi palestinesi di Aida, costruito a ridosso del “muro” che recinge i Territori. In 989 battute, spazi inclusi, Benedetto ha affermato l’intera verità sul “muro”: che divide, che è un anacronismo nell’epoca della globalizzazione, che è un segno di arretramento e che è necessario abbatterlo, ma che c’è qualcosa da realizzare perchè la giusta idea del suo superamento possa risultare vincente: eliminare l’inimicizia che l’ha eretto. Scagli una pietra chi saprebbe dire meglio.
In 989 battute il papa dice tutta la verità sul “muro”
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Sono riconoscente a Benedetto per queste parole e per questo viaggio.
Senza polemiche.
Una volta Luigi ha detto – se non erro – di sentirsi istintivmente vicino a chi vien attaccato sistematicamente (a ragione o a torto) solo per il fatto che tutti sono contro di lui….
Ecco: io sono riconoscente al Papa per questi giorni in Terra Santa e spero che la sua preghiera e le sue richieste siano ascoltate…
Poi si dirà che non è merito suo, che è stato l’impegno della diplomazia americana o di Berlusconi e bla bl bla…
fa niente…
Beh, sono d’accordo ovviamente (i muri mi fanno orrore), ma non dimentichiamo che il muro ha fatto diminuire il numero degli attentati… sarà dura trovare un argomento convincente per gli israeliani (almeno per qualche anno). Con la “cortina di ferro” c’era la “guerra fredda”, ma era pur sempre meglio della “guerra calda”!
@Marcello
sono stato in Terrasanta a novembre con il mio cardinale arcivescovo ed ho avuto la possibilità di parlare con il patriarca Latino che ci raccontava che apparentemente le cose stanno così. In realtà la gente continua a morire nel modo più odioso, fermata ai check point prima di andare in ospedale ad esempio (così è morta la madre del parroco di Betlemme). Questo scava solchi… i bambini oggi giocano al check point e così via… non ho ovviamente soluzioni ma il muro non è tra le più furbe…
Nessuno avrebbe potuto esprimere meglio di come ha fatto il papa i propri sentimenti a proposito della discriminazione del popolo palestinese e della necessità di abbattere i muri che erigono barriere innalzate dalla forte inimicizia tra Israeliani e Palestinesi.
Ed era ora che la Chiesa cristiana si pronunciasse chiaramente sulla situazione in atto in quei Paesi, facendo sentire la sua voce non solo a favore degli Israeliani ma anche apertamente in solidarietà con i profughi palestinesi.
Ho molto apprezzato ciò che Benedetto XVI ha detto in Terra Santa.
Egli ha detto fra l’altro nel campo profughi di Aida:”Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità.” Sono parole che, considerato tutto il contesto del discorso in cui si inseriscono,caratterizzano fortemente-e non poteva essere altrimenti- lo spirito cristiano da cui sono state dettate.
Ma temo che anche molti di coloro che si dicono cristiani non le abbiano condivise.Infatti mi ha lasciata sconcertata il fatto che da più parti siano arrivate disapprovazioni.Ma perché quando si parla di pace il discorso si fa tanto difficile?
Certo il nodo vero della questione è l’inimicizia che divide i due popoli.Si può,anzi si deve, invocare lo Spirito di Dio,ma Dio-si dice- ha bisogno dell’aiuto dell’uomo.Fino a che manca la volontà di pace da parte dei popoli reciprocamente ostili,le preghiere sono pressoché inutili.
Comunque io voglio credere che il viaggio del papa in Terra Santa sia stato utile per un progresso nel cammino della pace in quei luoghi.
Don Luca, sono d’accordo con te: il muro è un “mostro”. Credo solamente che sarà difficile abbatterlo ora e voglio sperare che possa fare la fine di quello di Berlino… del papa mi è piaciuto molto l’ottimismo… difficile sentire tanta fiducia quando si parla di pace in Medio Oriente.
Contro la non verità dei muri fa pressione anche la preghiera del Papa al Dio di tutti i tempi, al Dio che veglia sulla “città di pace “ che è “casa spirituale per ebrei, cristiani e musulmani”.
Lo spirito di Assisi – debitamente purificato, da parte di teologi e cardinali esimi, di improbabili contaminazioni – ha trovato un’alta applicazione nel cuore e nei discorsi di Benedetto XVI a Gerusalemme “dove le vie delle tre grandi religioni monoteiste si incontrano ricordandoci quello che esse hanno in comune”.
Da Solal ricevo questo messaggio:
Caro Luigi, ho letto e approvato le tue considerazioni su molte parole dette dal Papa nel suo viaggio in Terrasanta. Voglio solo riportare le parole indirizzate a Benedetto quasi alla fine del discorso a Lui rivolto dal Vescovo incaricato della pastorale della famiglia durante i vespri nella Basilica dell’Annunciazione alla vigilia della partenza, a conclusione di una bellissima liturgia che ho avuto occasione di ascoltare in diretta televisiva. Così il Vescovo parla al Papa dopo averLo ringraziato ripetutamente della Sua venuta:
“………(vogliamo far pervenire a S.S.) the pledge of our strong support for your leadership AS YOU CARRIE THE CROSS in your service of the unit of the Church with UMILITY AND LOVE ……”
Ho lasciato la lingua originale in cui è stato prodotto il discorso.
Mi è sembrato che queste parole possano costituire la cifra identificativa della missione di Benedetto nel mondo strano e contradditorio in cui viviamo.
Carissimi, è molto che non intervengo, ma da un po’ cercavo l’occasione per tornare a farmi sentire. Come sa chi ha letto miei commenti nei mesi passati, il tema del rapporto palestinesi-israeliani mi appassiona come pochi altri.
Questo viaggio del papa, per quel che ne ho potuto seguire, mi ha colpito molto positivamente. Visita al Muro del Tempio, a Yad Vashem, e ora all’altro muro. Un atteggiamento di profondo rispetto e comprensione per la ricchezza di entrambi i popoli, ma allo stesso tempo la chiarezza di chi non ha paura di mettere il dito nella piaga e mettere ciascuno di fronte alle sue responsabilità. Si parva licet, è lo stesso atteggiamento che mi sono sempre sforzato di assumere le volte che mi è capitato di andare laggiù e di cercare di capire.
Un appunto a Marcello: a me è stato detto (da un prelato che vive nei Territori palestinesi) che non è il muro ad aver ridotto gli attentati; infatti, esiste sempre la possibilità di aggirarlo e di trovare dei “buchi” per chi voglia realmente farlo. La riduzione degli attentati sembra essere invece una scelta deliberata dei gruppi estremisti palestinesi, che si sono resi conto di quanto fossero controproducenti alla causa del loro popolo. La vera funzione del muro non riguarda tanto la sicurezza quanto la volontà di espropriare la terra e di fiaccare la capacità di sopportazione dei palestinesi comuni. Veramente il muro incarna il problema più che una sua possibile soluzione.
Caro Luigi, ho seguito il papa in questo viaggio. Ero lì, ad ascoltare la voce e i racconti degli abitanti del campo Aida. Non ho mai provato tanta pena: la bruttura della condizione in cui vivono circa 5000 persone (altri 2 campi del genere esistono però a Betlemme), stipate in catapecchie che stanno in piedi per scommessa, mi è sembrata una condanna sproporzionata.
Ho conosciuto una donna, Alima, che vive in quel recinto da quando è nata, cioè da quando 60 anni fa i suoi genitori furono cacciati dalla propria casa, distrutta con le ruspe. Una sola volta ha messo piede a Gerusalemme, e di Gerusalemme non ha visto che l’ospedale. Quel pomeriggio ho provato un totale senso di inadeguatezza. Mi sono sentita responsabile del suo dramma perché il mio Occidente e la mia Europa non riescono ad andare oltre le strette di mano e le foto istituzionali.
Non pretendo la soluzione ultima della questione israelo-palestinese, argomento ostico per chiunque non spenda la propria esistenza laggiù. Parlo, più banalmente (mah), di case, di acqua, di scuole e di lavoro per 5000 anime condannate ad una pena troppo grande.
Mi resta la convinzione, dolorosissima, che abbiamo fallito tutti, nessuno escluso, davanti a dei bambini che non hanno la speranza di appurare che la vita è altro, ed è altrove.
Mariaelena racconta di più del tuo viaggio. Eri nella moschea di Amman, a Yad Vashem, al Muro Occidentale, alla Cupola della Roccia, a Nazaret o nella Valle di Josaphat? Io – non so se nel corpo o nello spirito – ho il sentimento di essere stato dappertutto.
Vedo ora che è tornato Massimo D. Finalmente! Bentornato, Massimo.
Caro Luigi, perdonami per questo post tardivo ma in questi giorni sono stata lontana dal pc. Cosa potrei raccontare? Ecco, forse qualcosa che non tutti sanno.
Ho seguito il Papa in tutte le sue tappe, eccetto quella al Muro del Pianto: una zona che dire blindatissima è dire, davvero, troppo poco. Ho sempre avuto un debole per GPII anche perché con lui sono cresciuta, altri pontefici non ho mai visto prima. Eppure, questa volta, BXVI mi ha conquistata per via di quelle sue parole, delle sue posizioni – qui permettimi di abbondare in definizioni – ferme, logiche e cristalline, avanzate davanti a migliaia di persone (credimi) poco ben disposte nei suoi confronti.
Ho amato la sua fede e la sua ragione così raffinata (non so trovare un altro termine). Eppure, lì non è stato compreso. La stampa italiana – volutamente – non ha dato notizia del poco amore diffuso intorno a Ratzinger, forse per non dare troppo spazio a coloro che non hanno mai perso un’occasione, per tutta la durata del pellegrinaggio di BXVI – credimi -, per attaccarlo. Su tutto. Ingiustamente.
Io. I miei colleghi. I miei amici. Tutti, ci siamo trovati dinanzi, prima o poi, ad episodi di intolleranza, sufficienza e cattiva sopportazione. Nel mio caso, addirittura, gli uomini del ministero israeliano che ha curato la visita di BXVI mi hanno derisa: sottolineando la mia “stupidaggine” in quanto mi ero fatta “tutta quella strada” per seguire il pontefice fin laggiù; hanno scimmiottato il santo Padre, imitando il gesto della benedizione. Non ho saputo replicare, eravamo in ascensore ed io ho provato disgusto. Ora, solo ora, capisco come si sentono coloro che non hanno gradito le vignette su Maometto. La satira non c’entra niente. Anche io mi sono sentita offesa quel giorno ma non ho saputo reagire. Di questo, solo di questo, me ne dispiaccio.
Per il resto sono convinta che BXVI abbia fatto più del dovuto, abbia aperto le braccia più del necessario. La sensazione, anche tra gli altri giornalisti con i quali discutevo di questo, è che non c’è un uguale desiderio di voltare pagina, di comprendere. Il perdono laggiù è merce assai rara.
A me restano le emozioni, intense, provate in Giordania davanti a tanti musulmani che applaudivano il Papa, che lo invocavano. Militari che cantavano nello stadio di Amman l’inno, forse un po’ tormentone ma bellissimo per questo, “Benedetto, benvenuto in Giordania”.
Cara Mariaelena,
per fortuna nessuno mi leggerà,
e tutti saremo tranquilli.
Sono solidale con te nel dolore che hai sentito nel veder preso in giro
il nostro Papa. (altra cosa sarebbe il diritto che abbiamo tutti di criticarlo o fare ironia, che è un modo diverso di criticare.)
Lo Stato d’Israele, non è nato con il dna di uno stato anti-cristiani, ma la necessaria cultura nazionalista all’interno per costruire una identità unitaria che non esisteva, oltre che di anti-islamismo si è nutrita con il tempo anche di anticristianesimo, cancellando la memoria che avevano, nell’immediato dopo guerra di tutti quei cristiani che li hanno aiutati, di cui per fortuna rimane segno nella loro tradizione dei “Giusti tra le nazioni” tra cui vi sono moltissimi cristiani, ma la cultura popolare ultraortodossa è intrisa di anticristianesimo.
Quando si forma una identità nazionalista essere “ANTI”, è sempre una fase ineludibile.
Noi in Italia questo lo sappiamo benissimo.
Anche come cristiani, nei secoli abbiamo nutrito un serio anti-giudaismo, oltre ad altri “anti” molto forti anche negli attuali tempi.
A differenza di te,
quando vedo atteggiamenti “anti” mi domando sempre quale storia vi sia dietro.
Nulla è casuale.
Nella storia degli uomini, quasi sempre tutto è reazione a qualche atteggiamento, anche se fosse “diceria”…
Mariaelena, il tuo racconto è veramente bello,
sta a noi che leggiamo cercare anche di capire,
come facciamo con qualsiasi testo,
leggendo tra la filigrana….
Grazie
Matteo, ti ringrazio per le tue parole ma io ancora non so come interpretare tutto quello che ho vissuto. In Terra Santa sono stata tante volte – forse otto solo negli ultimi quattro anni – ma stento ancora a comprendere certi atteggiamenti.
A tal proposito, oggi pensavo a un modo di dire riferitomi da un mio amico e che cioè quando si sta in quei luoghi per una settimana, al ritorno si vorrebbe scrivere un romanzo; quando ci si sta per un mese, un breve racconto. Dopo un anno di permanenza, nulla.
Questo per dire che andando a vivere laggiù viene via ogni nostra certezza su chi abbia ragione e in che misura. L’episodio che ho riportato credo che invece possa essere considerato – da TUTTI – ANCHE come una OGGETTIVA mancanza di stile e sensibilità. Dettata da cosa, non spetta però a me dirlo.
Mariaelena,
leggendoti,
mi fai pensare ai vari Ordini Religiosi, maschili e femminili che sono nella Terra dei nostri padri, da tanto tempo.
Essi fanno “presenza” senza tumulto, senza rumore,
essi fanno servizio soprattutto verso gli ultimi, soprattutto sostenuti dalla rete di carità attiva tra amici nei paesi di occidente.
Come fr. Charles,
la miglior testimonianza rimane, presenza, preghiera, carità,
nonostante i rancori che covano sotto la brace dei cuori di quei popoli.
Di quella terra conservo una nostalgia profonda,
nella speranza di ritornarvi quanto prima,
ritornare al Muro Occidentale a pregare, entrando in quella misteriosa comunione con Cristo che nella storia continua a pregare in quel “Tempio”