Presentazione dell’antologia di testi di don Mario Albertini
Presso “Casa del Padre” – via Fogazzaro 28 – Vittorio Veneto
Sabato 28 giugno 2014 – ore 09.30-11.00
Don Ermanno Crestani, Giovanni Benzoni e io avevamo un debito nei confronti di don Mario e l’abbiamo soddisfatto con la realizzazione di questa bella antologia che oggi presentiamo: bella per i testi suoi che la compongono, che non è stato difficile mettere insieme per dare un’idea del suo lascito di scrittore. Divido in sei momenti la mia presentazione: a illustrazione del titolo che abbiamo dato al volume, a segnalazione del contenuto delle quattro parti nelle quali l’abbiamo organato, a dimostrazione della qualità della scrittura di don Mario. Non abbiamo fatto un’antologia in memoriam, ma uno strumento per conoscere un autore valido, che ha dato un’attestazione della sua umanità in una lingua capace di parlare a tutti.
1. Il titolo dell’antologia
Abbiamo dato al volume il titolo Ho messo dell’amore in tutto questo, prendendolo dal testo di apertura, “Uno sguardo alla mia vita”, dove quest’espressione ricorre tre volte con leggere varianti: “Sì, nella mia vita ci ho messo dell’amore: per svolgere i miei impegni, per coltivare le relazioni che ne derivavano, per voler bene nelle nuove amicizie” (pagina 20). Ci pare che quelle parole dicano bene il calore, l’impegno, la fede che furono suoi.
Don Mario è stato un custode operoso dei suoi scritti redatti nei decenni. E’ venuto aggiornandoli e correggendoli fino agli ultimi giorni. Una delle revisioni ha la data “13 marzo 2013 giorno dell’elezione di Papa Francesco”. Un’altra “maggio 2013”. E lui muore il 26 giugno.
Si tratta di parabole e divagazioni personali, dialoghi con Dio, discussioni con gli scrittori più amati, omelie e lezioni tenute all’Università della terza Età o in occasioni diocesane, commenti biblici e liturgici, diari di viaggi, narrazioni autobiografiche, poesie e prose poetiche: don Mario scrive molto nella lunga vita ma non pubblica nulla, tranne rari articoli su riviste e un opuscolo per l’Anno della Fede che viene diffuso come allegato al settimanale L’Azione nel 2012, con il titolo Le invenzioni dell’amore di Dio. Si tratta di un fruibilissimo commento al Simbolo degli Apostoli, solido nei contenuti e creativo nella resa linguistica. Basterà porre mente alla parola “invenzioni” che qui sta per “meraviglie” e che don Mario genialmente prende da San Girolamo, facendo un uso nuovo di una voce antica.
Non cercava editori ma per decenni era venuto diffondendo tra gli amici alcuni piccoli testi stampati a sue spese che anche noi tre curatori dell’antologia avevamo avuto dalle sue mani, o ci erano arrivati per posta; ma molti di più ne ha lasciati nel computer. Eredi avventurati di quella cesta – come l’abbiamo chiamata – ci siamo impegnati e deliziati a leggere, vedendo crescere a ogni pagina il nostro comune apprezzamento e guidati dalla felicità di questa esperienza di lettori abbiamo scelto i dieci testi che compongono il volume con il doppio criterio della felicità di scrittura e della rilevanza dei temi.
Li abbiamo poi ripartiti in quattro sezioni per fornire al lettore una mappa che l’aiuti a muoversi in quel vivaio che don Mario ritoccava in continuità ma per il quale non ha mai progettato una presentazione d’insieme. Oltre al pubblicato, vi sarebbe molto altro che meriterebbe d’essere conosciuto: materiali per altri due o tre volumi.
2. Testi autobiografici.
La più immediatamente fruibile delle quattro parti è la prima: riporta due testi autobiografici che permettono una presa diretta con l’autore, che era riservatissimo di carattere ma che in queste pagine si confida a cuore aperto e con precisione di riferimenti a persone e ambienti frequentati. “Voglio dare uno sguardo alla mia vita, raccontandomela” (p. 16) è l’accattivante attacco del primo dei due testi. Cioè raccontandola a me stesso. E’ il pudore di chi svolge in perpetuo una prova di voce nella camera della sua anima, affacciandosi poco nel mondo. “Scrivo per conto mio” mi disse una volta in risposta alla domanda su che stesse facendo.
In uno dei testi al quale teneva molto, La messa per la vita (novembre 2009), don Mario qualifica la sua modalità comunicativa con la parola “soliloquio”: “Quelle qui raccolte sono brevi riflessioni con lo stile del soliloquio”. Dopo aver letto quanto potevo ho concluso che scrivendo per sé don Mario ha scritto per tutti.
Il testo autobiografico “Uno sguardo alla mia vita” non l’aveva mai diffuso ed è stata una scoperta anche per noi tre. Eccone un brano di toccante sincerità e levità:
“A parte la ‘cotta’ da diciottenne cui ho accennato, nel periodo della mia attività tra gli studenti di Vittorio V., a trent’anni, sì, mi sono innamorato. Di una studentessa universitaria, che sono certo provasse dell’affetto per me, ma con la quale non scambiai né una parola né un gesto che lo esprimesse esplicitamente. C’era l’occasione di incontrarci con una certa frequenza (in circostanze in cui c’era sempre la presenza di altri), e io ne ero contento, e vedevo che anche lei m’incontrava volentieri. Credo di aver provato tutti gli alti e bassi che provano gl’innamorati: l’ansia dell’attesa e la gioia dell’incontro, un po’ di gelosia, ma soprattutto la sofferenza di saperlo un amore impossibile” (p- 21).
Quest’uomo così lineare nell’obbedienza alla vocazione di prete e così amabile nell’approccio quotidiano ebbe ad affrontare una lunga depressione, a riprova che il male oscuro non fa eccezione di persone. Nel testamento, che è del 2005, dà conto di quella dura stagione: “Mentre scrivo, il Signore permette che io stia vivendo un tempo di prova spirituale: buio nella fede, e un senso di vuoto e inutilità” (p. 36). Queste parole sono nel secondo dei testi autobiografici che abbiamo riportato e ci aiutano a cogliere l’importanza che quegli anni di forte sofferenza hanno avuto per la vicenda spirituale di don Mario e anche per la maturazione della sua vocazione di scrittore, che dopo quegli anni – si direbbe – non ha più reticenze.
Fu durante quel periodo che confidando a un amico il suo “senso di inutilità” riguardo a tutto quanto aveva fatto in vita, si sentì chiedere: “Quello che hai fatto per me e per gli altri, è stato per amore?” (p- 37). Fu in risposta a quella domanda che don Mario raccontò a se stesso la sua vita e concluse che ci aveva messo dell’amore.
3. A colloquio con gli autori più amati
Nella parte seconda abbiamo pubblicato due testi di presentazione di scrittori: don Mario era un appassionato di molte letterature, in particolare della letteratura russa e della letteratura fantastica.
“Mi piace scrivere, ma chi leggerà quello che scrivo?” Queste parole me le disse avendo io lodato la felicità di comunicazione del libretto “Divagazioni” che è il primo dei testi di questa parte dell’antologia. “Sono contento che ti piaccia” mi disse con la misura che lo caratterizzava.
Ero convinto – e lo sono ancora – che quel libretto fosse un capolavoro di divulgazione letteraria e mi offrii di aiutarlo a cercare un editore. Mi lasciò fare e interpellai uno che aveva pubblicato miei volumi, ma la proposta fu respinta. La lettera che scrisse per accompagnare l’invio del testo all’editore ci dice il suo animo su questo fronte che l’attirava e che temeva: “Ho steso e fotocopiato queste pagine per i miei amici, che le hanno gradite, e pensano che sarebbe cosa buona diffonderle a una cerchia più larga. Adesso veda lei se sono proprio pubblicabili: non nego che mi piacerebbe, tuttavia non ci farò una malattia se la risposta è no”.
4. A colloquio con Dio
Nella parte terza dedicata a scritti di dialogo con Dio abbiamo riportato quattro testi che hanno fin dai titoli la forma dialogata: il più felice, nella tonalità linguistica, è il primo dei quattro titoli, che suona: “Vieni, Signore, discutiamo” (p. 102).
I primi tre dei quattro testi di questa sezione costituiscono una trilogia che don Mario considerava centrale nella sua ricerca. Li aveva raccolti in una cartellina con il titolo d’insieme: “Preghiera. Dialogo con Dio” (p. 101). Eccolo dunque che prima parla con se stesso e poi parla a Dio e infine con Dio, e in quest’impresa realizza il meglio della sua scrittura.
Chi parla con Dio, infatti, parla con tutti e don Mario non nasconde – in questi scritti più maturi – l’ambizione a una destinazione vasta dei suoi dialoghi interiori, dei suoi soliloqui, delle sue preghiere dialogate. Ecco una pagina in cui quest’ambizione è più che chiara nel tono stesso del dettato:
“Non sappiamo parlare con proprietà di Dio, ma possiamo parlare con lui, e le due strade di questo rapporto sono la preghiera e l’esperienza. La preghiera è infatti parlare con Dio; non solo a Dio, ma con lui, in un dialogo che coinvolge tutto il nostro essere e tutti e tutto. E l’esperienza nella fede. Fare esperienza di Dio non vuol dire provare una particolare sensibilità, ma accorgersi del passaggio della sua bontà, della sua sapienza, del suo amore, nella nostra vita. È capire che Dio si è fatto presente a me” (p. 183).
5. In cerca di Dio Padre
Nella parte quarta – “In ricerca di Dio Padre” – c’è un testo di forte pensiero, intitolato “Di fronte al mistero dell’amore che è Dio” titolo che è spiegato alle pagine 181s); e c’è un avvincente commento al “Padre Nostro”.
Nella sua comprensione della fede, Dio è un padre al quale siamo invitati a dare del “tu” e a non tacere ogni nostro turbamento o esigenza, compresa quella della sua manifestazione: “Dicendo ‘sia santificato il tuo nome’ gli diciamo: tocca a te manifestarti come Padre! Certo, come e quando vorrai tu, ma manifestati!” (così nel citato commento al Padre nostro, alla p. 235).
La passione per il Padre nostro gli veniva dalla “spiritualità del Padre” che è propria dell’Unione Sacerdotale di San Raffaele Arcangelo, della quale faceva parte. Conviene leggere una delle pagine più dense di quante compongono l’antologia, nella quale don Mario stringe in un paragrafo l’intero poema della paternità divina che ha contemplato nei decenni della vita:
“Gesù ci rivela tutta l’opera di Dio per l’umanità come azione di Padre: tutto il Vangelo è graduale rivelazione della paternità di Dio. Fin dall’inizio, nel discorso della montagna, Gesù parla del «Padre vostro che sta nei cieli e che vede nel nascosto» e insegna a pregare «Padre nostro!» (Mt 6) – per arrivare alla preghiera sacerdotale (Gv 15-17): è tutta una rivelazione della paternità divina. Per questa rivelazione, noi possiamo ripensare a tutto quello che è detto di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento, sotto il colore della paternità: l’eternità di Dio è l’eternità di Uno che da sempre è Padre (cfr. Ef 1); l’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza di Uno che mette questa onnipotenza a servizio della sua paternità; l’infinità di Dio è la grandezza senza misura di un cuore di Padre. Tutte le proprietà che possiamo intuire in Dio assumono questo volto paterno, così che possiamo concludere: Dio in se stesso non può essere che Padre” (p. 185).
6. Lo scrittore Albertini
Sono tante le corde che quest’uomo sapiente ha saputo toccare con una scrittura asciutta e fresca, saporosa di vita. Ne abbiamo avuto una riprova nelle citazioni che sono venuto proponendo.
Aveva da dire e infine ha detto vincendo il naturale riserbo. Anche chi l’aveva conosciuto, e aveva letto qualcuno dei suoi libretti, come noi curatori dell’antologia, leggendolo più ampiamente ha avuto l’impressione di scoprirlo. Sapevamo della sua vocazione a comunicare ma non conoscevamo il frutto grande di essa, maturato nel riserbo e nel conflitto con un carattere schivo fino all’eccesso e nel conflitto – infine – con la depressione che l’affinò come metallo nel crogiuolo e gli donò una piena libertà di parola.
Possiamo concludere che il nostro don Mario non è stato solo un uomo raro per cultura e modestia, che ha lasciato un ricordo vivo in ogni ambiente dove è vissuto e dove ha lavorato, ma è stato anche un artista della parola.
Forse il più felice dei suoi testi, come felicità di scrittura, è il volumetto “Grazie, Signore”, che è del 2009 e che può essere letto nella terza sezione dell’antologia. Sapeva di avere scritto un piccolo capolavoro comunicativo: in un passaggio del testo autobiografico che apre l’antologia (vedilo a pagina 32) qualifica questo scritto come “molto spontaneo”. Conviene che da esso io prenda qualche frammento come riprova definitiva di quella libertà e spontaneità comunicativa.
Ecco come ci comunica la sua festa davanti agli occhi dei piccoli, che si direbbe abbia amato di più avendo deciso di non averne: “La bimbetta, quando mi sono chinato su di lei, mi ha fatto una vivace smorfia mentre i suoi occhietti sprizzavano allegria” (Il sorriso di un bambino, p. 173).
Ecco – sempre lì – una lode a Dio per le bellezze del creato in una pagina intitolata “L’arcobaleno”: “Un forte temporale, molta pioggia: le nubi hanno reso oscuro questo pomeriggio estivo. Ma verso il tramonto velati raggi di sole hanno fatto capolino, e a oriente danno origine a un amplissimo arcobaleno. Fenomeno che ancora una volta ammiro con rinnovato stupore: “Osserva l’arcobaleno, e benedici colui che l’ha fatto, è bellissimo nel suo splendore (Sir 43,12). Grazie, Signore, che hai inventato l’arcobaleno, e che oggi me lo hai fatto nuovamente ammirare” (p. 172). Ricordate che nel titolo di uno degli opuscoli c’era l’espressione “Le invenzioni dell’amore di Dio”? Tra quelle invenzioni c’è l’arcobaleno.
Nello stesso libretto c’è un delizioso dialogo con una nipotina che gli disegna un gatto: “Come lo vuoi? In piedi o accovacciato? – Accovacciato” (Il disegno del gatto, p. 178). Concorda con una bambina il disegno di un gatto e discute con Dio del mistero del male.
Don Mario conosceva la forza della sua scrittura: l’avverti in quella singolare felicità che viene dalla lettura di pagine riuscite, quando intuisci che lo stesso autore deve aver sentito, scrivendo, la riuscita delle proprie parole. Ma c’è anche un luogo dove afferma – guardando alla sua opera di scrittore – di essere riuscito a dire quanto gli premeva: “La rilettura di queste pagine mi conferma che in esse ho detto qualcosa di me, dei miei problemi, della mia ricerca, e che forse vi è in esse anche un ‘granellino’ di fede” (p. 32).
Torno – in chiusura – alle parole che abbiamo posto a titolo del volume: “Ho messo dell’amore in tutto questo”, che attestano la serenità recuperata dopo la prova. Ed è bello scoprire che quel recupero della quiete dopo la tempesta egli l’abbia ottenuto anche praticando l’amata scrittura e riuscendo a comunicare con essa una serenità provata, cioè passata per la prova, che è il meglio che si possa comunicare con la parola sulla terra.