Le attese dei vicini e dei lontani
Seminario regionale San Pio X di Chieti
Venerdì 24 aprile 2009
Il prete lo puoi vedere in chiesa, sul sagrato, dalla piazza. In chiesa lo vede la comunità cristiana riunita in assemblea: ed è già un vedere plurimo e un’avventura. Perché tra le navate ci sono spesso persone che il prete non conosce e neanche immagina che cosa pensino di lui. O che cosa mai si aspettino: “Chi dice la gente che io sia?”
Il sagrato è un luogo di passaggio dalle navate al vasto mondo. Qui c’è più gente: i mendicanti che non osano entrare nel tempio, chi si avvicina per leggere la targa turistica sulla chiesa come edificio storico, chi si ferma giusto il tempo di mangiare un gelato. Ma attenzione: anche chi esce dalla chiesa – o sta per entrare in essa – quand’è sul sagrato è un’altra persona: più libera e magari più esigente.
La piazza è il mondo. Il prete visto dalla piazza è come lo vede chi passa e guarda da dove si trova, senza avvicinarsi e senza sentirsi coinvolto. Disimpegnatamente. E magari dice: ma guarda, ci sono ancora preti al mondo! Oppure è qualcuno che aveva pensato di venire da te, ma quando ti vede cambia idea e se ne va con il suo segreto. Oppure per caso ti vede e per caso ti parla. E Dio sa che può venire da una parola scambiata per caso.
La piazza uno ti vede e resta là, o l’attraversa e si avvicina, o se ne va. E magari neanche ti ha visto. La tua stessa postazione rispetto alla piazza può offrire molte varianti. Getti un’occhiata giù in piazza dalla finestra prima di andare a letto. O ti affacci per controllare se ti hanno portato via l’automobile. Oppure hai una veduta frontale della piazza uscendo dalla chiesa e prendendoti il sole in faccia, ancora ben disposto dalla “preghiera universale” che hai appena recitato. Ma nella piazza puoi anche passare del buon tempo, nelle stagioni miti. Ci passeggi, ci vai a scambiare due chiacchiere – restando in piedi – con quelli del bar. O con le donne che escono dal market che è a lato della chiesa.
Sulla base della mia esperienza personale e familiare, delle mie inchieste giornalistiche e della mia frequentazione delle piazze reali e mediatiche, nonché degli ambienti dei preti – uno non fa il vaticanista indarno – provo a tracciare una tipologia narrativa di come tu prete possa essere guardato e spiato, mutamente interrogato, adulato e ingannato da chi passa o da chi sverna sulla piazza. Che si tratti di vicini o di lontani.
In piazza – il più delle volte sdraiato su una panchina – c’è il barbone che ha rifiutato le scarpe “quasi nuove” che gli avevi mandato attraverso un volontario della Caritas . Gliel’ha semplicemente tirate dietro e ti ha fatto dire: “Le vuole nuove e vuole che gliele compri tu, numero 43”.
Sulla piazza dà la bottega del falegname motteggiatore che sempre attacca bottone per sostenere che “la Chiesa sbaglia ad andare a sinistra” e c’è la libraia femminista che quando entri per cercare un libro ti rinfaccia “la posizione reazionaria del tuo principale”, che sarebbe il Papa. La potresti chiamare “Piazza del sicomòro”: forse ambedue, falegname e libraia, aspettano che tu dica: “Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua”.
A giocare a carte davanti al “Bar del motociclista” c’è spesso il marito di una catechista che è sempre in chiesa quando c’è lei ma non apre bocca, non fa la comunione, non fa l’offerta. E non ti parla mai. Di lui non conosci neanche gli occhi, perché in chiesa mette gli occhiali scuri. Al bar non porta occhiali ma tu non giochi a carte.
Alle volte – mentre ti affacci sulla piazza a sistemare la bacheca portatile con gli avvisi e i ritagli di stampa – esce dalla banca un piccolo imprenditore che vedi anche in chiesa ma solo negli anniversari del matrimonio e della morte della moglie. Anche lui non si comunica e non ti parla. Tu sempre ti proponi di salutarlo, ma se ne va prima che la messa sia finita, subito dopo la benedizione. Se un giorno gli parlassi magari ti direbbe che non si sente degno e viene in chiesa solo in nome della moglie che – lei sì – era “degna”.
Un giorno incroci nella piazza due tipi che in chiesa ci vengono spesso e restano in fondo, vicino alla porta. Per vederli bene, dal momento che non si avvicinano mai all’altare, una volta sei sceso a spargere l’acqua benedetta fin laggiù. Ma hai avuto l’impressione che avessero capito il tuo trucco e non l’hai fatto più. Ti chiedi che altro sistema potresti escogitare per avvicinarli nella piazza.
Ieri verso sera hai visto per un momento a un angolo della piazza due fidanzatini che non vengono più da quando “stanno insieme”. Prima venivano e facevano la comunione. Ora temono di doversi confessare e non saprebbero che dire: questa è la tua prima interpretazione perché ben sai che oggi sono tanti i fidanzati che non sanno come confessarsi. Ma poi ti chiedi se non sia che ora, semplicemente, credono di non avere più motivo di venire perché non sono più soli. Ci ragioni sopra e scopri che da te viene chi ha bisogno e chi ha un dolore. Per fortuna – ti dici – ci sono i matrimoni da celebrare, altrimenti quasi mai vedresti gente felice. Recuperi qualche punto pensando che succedeva così anche a Gesù.
Vai avanti e indietro ai margini del sagrato, con il breviario in mano, nell’ora della siesta, quando in piazza non c’è nessuno. Ed ecco che incroci per un attimo lo sguardo di una donna a una finestra. Uno sguardo duro, di una che non viene più alla messa da quando è stata piantata dal marito. E’ arrabbiata con il Signore e – pare – anche con te. Magari pensa, sbagliando, che ora non possa fare la comunione. Ti sono già capitati dei casi. “Ma le pare giusto che si possa negare l’ostia a una come me?” Saresti felice di spiegare, ma lei non si avvicina e tu non hai il coraggio di cercarla.
La domenica tra i banchi vedi sempre un uomo serio e fermo che viene in chiesa da solo perché la moglie “non ci crede”. Ed è anche polemica con i preti: te l’hanno raccontato le catechiste. Un giorno gliene hai parlato e lui l’ha difesa: “Mia moglie fa del bene a chi ha bisogno”. Vorresti entrare in quel “bene”. La vedi qualche volta nella piazza e immagini che potresti dirle: “Vieni a cena domani a casa mia con tuo marito chè cucino io”. Ma come la prenderebbe?
In piazza potresti incontrare quasi tutti i politici che in chiesa ci vengono soltanto il giorno della festa patronale. E tu durante quella celebrazione vorresti essere Ambrogio o Wojtyla per scuoterli come sarebbe necessario. Ma quelli in chiesa sono rigidi e muti come la statua di San Giorgio e a te le parole muoiono sulla bocca appena li vedi schierati – così muti – attorno al gonfalone del Comune. In piazza invece sono gioviali, ma là fuori sei tu che ti chiudi a riccio.
“Si è confessato con Gesù” ti dice incontrandoti in piazza la figlia del professore comunista che non hai potuto visitare quando si è aggravato, perché l’avevano portato in una clinica lontana e là è morto. Lui veniva in chiesa per i “sacramenti” dei familiari: battesimi, cresime e matrimoni. Lei non viene mai. Eppure da quella frase – “Si è confessato con Gesù” – hai capito che sia lui sia lei sono a modo loro cristiani.
Nell’epoca delle badanti ne hai conosciute tre che accompagnano a messa i loro assistiti la domenica. Una fa anche la comunione mentre tiene sottobraccio il vecchietto. Dalla faccia la diresti filippina. La rivedi in piazza quando c’è il raduno delle colf, la domenica pomeriggio. Potresti chiederle di farti conoscere le sue compagne, di aiutarti a “inventare” un gruppo per i filippini che sono in città. Ma non sai deciderti: “E se mi chiede soldi come quella dell’anno scorso, che non me la staccavo più?”
Per la piazza vedi passare quasi ogni giorno quella signora separata dal marito e convivente con un altro uomo che non è suo marito, la quale non ti parla più da quando le hai detto che non potevi darle l’ostia neanche il giorno in cui il figlio, che è anche chierichetto, faceva la prima comunione. “Questa è una crudeltà” ti rispose: “Che ne sapete voi preti dei figli?” Tu sai che ama molto quel figlio con cui ha un rapporto tribolato. Un giorno hai provato a salutarla, ma ha tirato dritto come se non ti avesse visto.
In piedi in mezzo alla piazza – come fosse un monumento al Conte di Cavour – hai rivisto proprio ora dalla tua finestra quell’uomo sui quaranta che hai sposato ultimamente. Non aveva voluto inginocchiarsi durante il rito: “Io non ci credo e sono qui solo perché me lo ha chiesto lei”. Così dicendo aveva indicato la sposa con il gesto con cui si fa autostop. Per un momento dalla piazza guarda verso la chiesa con lo stesso sguardo di sfida con cui seguiva le tue mosse quando davi la comunione alla sua donna.
Bighellona per la piazza anche il giovanotto down che viene in chiesa a tutti i funerali e poi si ferma sul sagrato a salutare i parenti del morto come fossero suoi conoscenti. E tu ci vedi un significato e lo benedici nel tuo cuore. Ma un giorno che gli hai parlato di Gesù ti ha detto: “A te piacciono le torte di cioccolato? Me ne regali una?”
La piazza è un mondo e in esso c’è anche un tipo che si avvicina a te deferente a ogni campagna elettorale e ti chiede un’indicazione per il voto e insiste, formulando in più modi la richiesta, come fanno i giornalisti nelle conferenze stampa e come facevano gli antagonisti di Gesù: “Lo interrogavano per poterlo accusare”. Una volta gli hai risposto che non è compito tuo dare indicazioni elettorali e quello ha replicato quasi offeso: “Questo non lo dica!” Quel giorno pensasti che lo spiazzo davanti alla tua chiesa “Piazza della Sinagoga di Cafarnao”.
La tua piazza è un mondo che confina con la tua parrocchia ed è un confine che può dividere il fratello dal fratello, come dice la Scrittura. C’è infatti a volte nella piazza il fratello gemello e non credente di un parrocchiano assiduo e tu li confondi i due gemelli, che sono proprio uguali. Gli dici festante: “Giorgio vieni stasera all’incontro delle famiglie?” E lui duro: “Non sono io e non ho famiglia”. Un giorno è venuto in chiesa con la mamma al posto del fratello credente che sempre l’accompagna – lei non cammina più da sola – e al momento della comunione tu, nulla sospettando, hai fatto per dargli l’ostia e lui ti ha fermato con la mano aperta e alzata come a dire: “Non ti azzardare!”
C’è anche – in piazza – chi ti cerca per parlare e basta, come nella canzone di Celentano: “Neanche un prete per chiacchierar”. Tu fingi di essere occupato e quello finge di non capire la tua fretta, come se volesse mettere alla prova la tua pazienza. A volte butta là qualche domanda apparentemente impegnata, ma in realtà mondana come quella della samaritana: “Dobbiamo adorare Dio su questo monte o su quest’altro?” Un giorno ti ha chiesto: “I musulmani digiunano per un mese e lei quando digiuna?” Quel giorno ti sei detto che nel mezzo della tua piazza ci starebbe bene il Pozzo di Giacobbe.
Ogni uscita nella piazza fornisce spunti alla tua conversazione con il Signore, che sempre più spesso tendi a concludere con una lamentazione che inizia con le parole: “Qui nessuno sa chi tu sia Signore”.
Gli potresti riferire ogni giorno nuovi spunti di un’attesa sconfinata che è nel cuore dei tuoi piazzaioli, quasi tutta materiale e che a te pare evangelicamente male indirizzata. Non avere timori a parlargliene, egli già conosce le inquietudini a corto raggio della maggioranza dei tuoi interlocutori:
– Ti cercano per avere denaro, buoni pasto, un lavoro qualsiasi, un posto letto in ospedale.
– Ti cercano per sfogarsi: “Mio figlio è messo contro di me da mia moglie che è fuggita da casa”.
– Vorrebbero che tu mettessi pace nella loro famiglia: “I miei figli non mi parlano più”.
– Ti raccontano visioni: “La Madonna mi ha detto che devo far sapere al Papa questo e quello”.
– Insistono perché tu li accompagni a Medjugorje: “Da là viene un messaggio al giorno!”
– Giurano di avere a che fare con qualche posseduto: “Mio marito ha un diavolo ed è diventato cattivo”.
– Ti comunicano dubbi di fede: “Chiedo un miracolo per mio padre ma io non credo ai miracoli”.
– Vorrebbero andare alla Sacra Rota per ogni crisi di coppia: “Se non è nullo il matrimonio di mia figlia, allora non c’è stato mai un matrimonio nullo”.
Ci sono dei giorni in cui vorresti fuggire lontano dalla tua piazza. “Ma che parrocchia mi è toccata?” è la seconda lamentazione che svolgi nel dialogo con il Signore. Ma non ti è difficile comprendere che la misera tipologia dei tuoi interlocutori è la stessa dei Vangeli: figli che a 18 anni scappano di casa, donne che hanno avuto cinque mariti, fratelli che litigano per l’eredità, devoti che invocano il fuoco dal cielo, tutti che chiedono segni.
Provi a rileggere i Vangeli immaginando che Gesù sia un parroco al quale ognuno pone il suo problema: “E’ morto il mio unico figlio, non ho nessuno che mi getti in acqua, abbiamo solo cinque pesci, il minore dei miei ragazzi è scappato di casa appena ha compiuto 18 anni”. In questo modo ti metti alla sua scuola e cerchi di imparare dalle sue risposte.
Gli poni le domande che allora non si ponevano e che governano – espresse o sottintese – ogni tua conversazione con gli abitatori della piazza e la mandano inevitabilmente storta. O almeno così a te pare. Gli fai osservare che quelle domande nascono da granitiche convinzioni: che la Chiesa è ricca, è potente, fa politica, è piena di misteri. Gli racconti del viaggiatore incontrato al bar che parlava di quei “misteri” e di te che provasti a dire: “Quella era la Chiesa di una volta” e di lui che replicò così: “Mi dica allora, reverendo, come è morto Papa Luciani!”
Gli racconti anche le questioni nuove rispetto alla generazione precedente, che è quella del tuo vescovo. Ora – gli spieghi – l’umanità circostante è più informata e anche più colta, ma ignora quasi tutto ciò che riguarda il Padre che è nei Cieli. Spesso guarda al prete come a un ufo e fa fatica a prenderlo sul serio. Digli insomma che intorno alla tua parrocchia, che si fa sempre più piccola, va crescendo un’umanità totalmente secolare, mezzo eretica e mezzo pagana. Si sono ristrette la Giudea e la Galilea e si sono dilatate le regioni dei cananei e dei samaritani, come si sono infittiti i passaggi dei greci, degli egiziani e dei romani.
Mentre snoccioli la tua terza lamentazione – intitolata “Arrivasti a sera in un villaggio dei samaritani e non fosti ricevuto” – hai l’impressione di udire dalla bocca del Signore questa risposta, come in un sussurro: “E’ vero i samaritani non erano ospitali con me perché non sapevano che andavo da loro come amico, ma conobbi un samaritano che poteva insegnare la compassione ai leviti e ai sacerdoti e un giorno incontrai una samaritana che capì al volo la mia predicazione, come anche alcuni romani che mostrarono una migliore fede che non i miei stessi discepoli. Divenni amico di una cananea e uno di Cirene mi aiutò a portare la croce. Coraggio dunque con i tuoi pagani di ritorno e con gli immigrati che vengono dalla Grecia e dall’Egitto, gente che anch’io ho conosciuto e non mi trattarono male. Fatti coraggio e non deludere nessuno che vuole parlare con te. Ascoltali e non ti preoccupare di ciò che potrai rispondere. Il mio spirito ti suggerirà le risposte. E se non arriveranno, dirai semplicemente che non sai le risposte, ma che sei pronto a cercarle insieme a loro“.