Edizioni Paoline
Presentazione del volume – mercoledì 15 aprile
Libreria delle Paoline – via del Mascherino
Esprimo un grande consenso all’intenzione che ha guidato i due colleghi in questo lavoro e segnalo tre imperfezioni. Il consenso è all’idea che convenga guardare oltre il chiasso di giornata per cogliere appieno l’impresa a cui si è applicato papa Benedetto con il recupero dei lefebvriani, che sta perseguendo con tenacia. Un’impresa forse disperata, stante l’attitudine di quegli interlocutori che accusano il “teologo” Ratzinger di eresia, ma che merita d’essere sostenuta ed è importante che lo sia da parte di persone come Aldo Maria Valli e Rodolfo Lorenzoni che certo non possono essere sospettati di simpatizzare per l’estrema destra. Mi ritrovo in questo atteggiamento.
Il volumetto è complesso e segue i due filoni principali della questione lefebvriana in generale e del sottotema ebraico e negazionista che ne ha infiammato gli ultimi sviluppi. Io mi attengo al primo filone lasciando agli altri relatori il secondo, che trovo più pungente ma meno centrale.
Primo spunto a consenso: quando Valli nella “presentazione” rievoca il giubileo lefebvriano dell’anno 2000. Io aggiungerei alle sue notazioni sul rigore liturgico e di pietà di quel pellegrinaggio, un’osservazione sull’età dei partecipanti e la presenza relativamente dominante dei giovani e delle famiglie con bambini.
Il secondo spunto a consenso riguarda l’affermazione del collega Valli a supporto del papa che tende la mano ai lefebvriani: “Che cosa c’è di sbagliato se un papa cerca di recuperare il patrimonio di devozione e tradizione della Fraternità di San Pio X e riportarlo nella Chiesa?” (p. 9).
Aggiungo la buona impressione che mi ha fatto l’aver partecipato a metà marzo a una celebrazione lefebvriana nella Cappella di Santa Caterina a via Urbana, che è l’unica loro celebrazione domenicale in Roma. C’erano giovani, famigliole con bambini. Si pregava bene. Il giovane celebrante – sui trent’anni – fece un’omelia esemplarmente biblico-liturgica, senza alcun accenno all’attualità: la lettera del papa ai vescovi era stata pubblicata tre giorni prima.
Ecco dunque le questioni essenziali: a quelle celebrazioni ci sono famiglie e bambini, non solo anziani nostalgici; in esse ci si stacca con decisione dai fatti correnti e ci si mette in Dio. Come Valli e come Lorenzoni io preferisco la nuova liturgia, ma vorrei che recuperasse dall’antica – ancora viva – quella capacità di stare davanti al mistero.
Un terzo spunto a consenso lo prendo dalla presentazione di Lorenzoni, quando propone una variazione a un famoso aforisma di Chesterton: “Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della tradizione, finiscono per combattere anche la tradizione pur di combattere la Chiesa”. Qui il riferimento è alla pubblicistica dei lefebvriani: io sono respinto dalla loro polemica quanto sono attratto dalla loro pietà.
Al termine di quella liturgia nella cappella di Santa Caterina ho preso con me l’ultimo fascicolo de La Tradizione Cattolica, che è la “Rivista ufficiale del Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X” e vi ho ritrovato le “molte cose stonate: superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi” di cui si è lamentato il papa nella lettera ai vescovi. Quella rivista afferma vibratamente che “la Fraternità non è un mattone adatto per la costruzione del villaggio ecumenico”: e pazienza! Il papa e i vescovi vengono qualificati come “rappresentanti della gerarchia ufficiale” e mi pare peggio di quando i “Cristiani per il socialismo” parlavano con distacco della “Chiesta istituzione”. Viene riproclamata “la sostanziale incompatibilità del rito di Paolo VI con la dottrina cattolica”: e io che ero andato lì – interpretando, me pivello e a modo mio, i sentimenti di papa Benedetto – in nome della “compatibilità”! Addirittura a p. 42 ho trovato riaffermata la cabala fatimita: che cioè il Vaticano mente e “il terzo segreto di Fatima è ancora nascosto”.
In un numero precedente di quella rivista – datato 2 luglio 2008 – avevo letto una “Lettera ai benefattori” del vescovo Fellay che lodava il motu proprio sulla liturgia e lamentava che non fosse “accompagnato da misure logicamente conseguenti negli altri àmbiti della vita della Chiesa”, dai quali dovrebbero essere cassati i “cambiamenti introdotti dal Concilio e dalle riforme post conciliari, che noi denunciamo appunto perché la Chiesa li ha già condannati”,
In quel fascicolo si ragionava anche del possibile ritiro della scomunica – poi avvenuto il gennaio scorso – e si affermava che esso avrebbe dovuto significare, da parte di Roma, che “la scomunica non c’è mai stata”. In un altro fascicolo, del 1° aprile 2007, ho trovato una superciliosa disamina del discorso di papa Benedetto ad Auschwitz, come si trattasse di farina del diavolo, bollata con questa conclusione: “Non è prudente farsi illusioni sull’orientamento dottrinale di chi attualmente governa la Chiesa”.
Riprendendo l’aforisma di Lorenzoni io domando: possiamo lasciare la tradizione ai lefebvriani? Ma non è tradizione anche il Vaticano II, il papa polacco e il papa tedesco ad Auschwitz e al Muro del Pianto, le loro visite alle sinagoghe e alle moschee, Edith Stein e gli altri martiri cristiani della Shoah?
Il libretto ha il merito di allargare lo sguardo – con semplicità e leggibilità – all’insieme di tali questioni. Ma è un instant book e la rapidità comporta qualche imprecisione. Ne segnalo tre.
A pagina 21 toglierei la dubbiosa ipotesi che “la concessione della prima comunione ai fanciulli” da parte di Pio X sia stata decisa in risposta a “una lettera inviata al papa da Joseph Lefebvre, futuro missionario e fratello maggiore di Marcel”. Marcel nasce nel 1905 e aveva due fratelli maggiori di tre e due anni, Papa Sarto decide sull’anticipazione a 7 anni dell’età della prima comunione (decreto Quam Singulari) nel 1910. Forse si trattò di uno zio o di un omonimo, non certo di un fratello.
A p. 25 Marcel Lefebvre viene presentato come autore del Breve esame critico del NOVUS ORDO MISSAE di Paolo VI, “Breve esame” che viene pubblicato nel 1969 con la prefazione dei cardinali Ottaviani e Bacci, che lo presentano come “opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori d’anime”.
A p. 69 si presenta la richiesta di perdono per il maltrattamento degli ebrei – fatta durante la liturgia penitenziale del 12 marzo 2000, in San Pietro – come l’ultima delle sette “invocazioni”, mentre fu la quarta: dopo la prima riguardante i “peccati in generale” pronunciata dal cardinale decano Bernardin Gantin, dopo quella relativa alle “colpe nel servizio della verità” pronunciata dal cardinale Joseph Ratzinger, dopo quella riguardante i “peccati che hanno compromesso l’unità del corpo di Cristo” affidata al cardinale Roger Etchegaray. Quarta dunque e letta dal cardinale Edward Cassidy, che era allora presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo.
Ma sono minuzie che si menzionano per mostrare che si è letto il libro. Un grazie e tanti auguri agli autori.