Stavolta punto l’occhio sul papa emerito uscendo un poco o un tanto dal vaticanismo vulgato che non ha tempo per ciò che non appare nuovo o non interagisce con i campi minati delle polemiche a più alta frequentazione. Per esempio le uscite di Benedetto dal recinto di San Pietro e le parole sue che abbiamo ascoltato dopo il 28 febbraio. Che sono poche ma non senza interesse.
Ecco i due papi che s’inginocchiano allo stesso banco e ciò avviene ogni volta che il nuovo visita il vecchio. Eccoli a un avvenimento pubblico, il 5 luglio nei Giardini Vaticani. Il 27 dicembre pranzano insieme al Santa Marta avendo al loro tavolo comuni collaboratori. Chissà quante volte avranno comunicato al telefono o attraverso don Georg che lavora con il nuovo e abita con il vecchio.
“Lui non si immischia”
dice Francesco di Benedetto
“Siamo fratelli” dice Francesco a Benedetto il 23 marzo 2013 a Castel Gandolfo, la prima volta che pregano appaiati. E’ stata subito chiara la capacità del nuovo di avvicinarsi al vecchio senza subirne condizionamenti. In occasione di quel primo incontro il portavoce disse che la decisione di diffondere le immagini era stata lasciata al papa emerito, contento il nuovo di ciò che avesse stabilito. Le foto dei due in preghiera avranno aiutato – io credo – la riconciliazione tra chi si richiama all’uno o all’altro.
A dieci mesi dal congiungimento degli astri possiamo azzardare che il passaggio del testimone tra i due papi – di cui non c’era esperienza – sia avvenuto con l’esito più convincente, in barba ai canonisti che in risposta ai papi che li avevano consultati sulla “rinuncia” (Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II) avevano enfatizzato il condizionamento di un papa rinunciatario sul successore, qualora questi avesse voluto prendere decisioni innovative.
Per decenni avevamo avuto il cardinale Ratzinger come garante dottrinale accanto a papa Wojtyla e ora abbiamo papa Ratzinger come sostegno orante accanto a papa Bergoglio. Un sostegno che è anche di consiglio e che così è stato narrato da Francesco il 29 luglio 2013 ai giornalisti sull’aereo: “Io gli ho detto tante volte: ‘Ma, santità, lei riceva, faccia la sua vita, venga con noi…’. E’ venuto, per l’inaugurazione e la benedizione della statua di San Michele… Per me, è come avere il nonno a casa: il mio papà. Se io avessi una difficoltà o una cosa che non ho capito, telefonerei, ma, mi dica, posso farlo, quello?”
“Faccia la sua vita” dice Francesco a Benedetto. E qualcosa si è visto. Abbiamo avuto notizia di gruppi di bavaresi che ha ricevuto a casa sua e di due uscite dal Vaticano: una il 18 agosto per un concerto a Castel Gandolfo organizzato per lui, un’altra il 3 gennaio 2014 per fare visita al Gemelli al fratello don Georg.
La compresenza all’inaugurazione della statua di San Michele è stata il 5 luglio, lo stesso giorno dell’enciclica Lumen Fidei: “Papa Francesco e il papa emerito si sono abbracciati e sono rimasti vicini per tutta la cerimonia” informò il padre Lombardi.
Ratzinger che scrive a Odifreddi
é il fatto più inaspettato
Della compresenza dei due nell’enciclica Lumen Fidei da conto serenamente Francesco al paragrafo 7: “Egliaveva già quasi completato una prima stesura di lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”. Anche per l’enciclica alcuni – forse privi d’altre preoccupazioni – si sono detti ansiosi ma basta seguire lo svolgimento dei fatti per rasserenarsi. E’ il papa emerito che consegna al nuovo la sua bozza. Avrebbe potuto distruggerla, o chiuderla in un cassetto. Dandola al successore ne fa un lascito per il magistero del nuovo papa, che l’apprezza e ne cava un’enciclica. Io vi leggo una parabola della continuità come nell’immagine dei due inginocchiati.
Più volte il nuovo ha parlato del vecchio e soprattutto il 30 giugno 2013 all’angelus, quando l’ha lodato per l’esempio di discernimento che ha dato con la decisione della rinuncia: “Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di questo rapporto con Dio nella propria coscienza: il papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore”.
Il fatto più inaspettato, su questa linea della compresenza dei due, è stata la pubblicazione il 24 settembre sul quotidiano la Repubblica di una “risposta” di Benedetto al matematico Piergiorgio Odifreddi che nel 2011 gli aveva indirizzato una pubblica interpellanza con il volume Caro Papa ti scrivo (Mondadori 2011). Se Francesco è stato d’accordo – com’è necessario supporre – per questa pubblicazione, c’è da aspettarsi che un giorno possa anche invitare Benedetto a concelebrare sulla piazza o in basilica, e magari anche a tenere l’omelia. La canonizzazione dei Papi Roncalli e Wojtyla – fissata per il 27 aprile 2014 – potrebbe essere un’occasione.
Prima del testo a Odifreddi avevamo conosciuto un’omelia del papa emerito: ne aveva dato notizia la Radio Vaticana il 1° settembre, riferendo dell’incontro di Benedetto con gli ex allievi, il famoso Ratzinger-Schuelerkreis, per una concelebrazione nella cappella del Governatorato. Al convegno, avvenuto a Castel Gandolfo su “questione di Dio e secolarizzazione”, il papa emerito non ha partecipato e nell’omelia ha solo commentato le letture della messa dove Gesù invitava a prendere l’ultimo posto. Come sempre Ratzinger ha detto parole utili a chiunque le sappia ricevere: “Chi, in questo mondo e in questa storia, viene sospinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo”.
Se i due papi dialogano
con i matatori del libero pensiero
Sono contento che il papa nuovo lasci parlare il vecchio e che ne abbiamo un’eco. Qui non entro nei due testi e osservo che i media ne hanno parlato poco, mentre sono interessanti sia come fatti sia come testi. Un’altra volta li studierò. Ora segnalo che la risposta di Benedetto a Odifreddi è arrivata (per posta, a lui) il 3 settembre, mentre quella di Francesco a Scalfari dev’essere arrivata (per posta, a lui) appena quattro o cinque giorni più tardi (appare sulla Repubblica dell’11 settembre): mi piace immaginare che i due papi si siano sentiti e abbiano preso incoraggiamento l’uno dall’altro per interloquire con i due matatori nostrani del libero pensiero.
Vivo con gratitudine la buona convivenza tra i due papi, ma intorno sento ribollire il dibattito tra chi accentua la discontinuità e chi la deplora: credo che i due gruppi minoritari si equivalgano, avendo tra loro una maggioranza che vive pacificamente il passaggio. A chi – d’ambedue le sponde – mi chiede dove sia la continuità, rispondo che la dobbiamo cercare nella teologia dell’amore di Benedetto che si prolunga naturaliter nella teologia della misericordia di Francesco.
All’angelus del 9 giugno 2013 Francesco dice che il Signore è “tutta misericordia e pura misericordia”, in un altro angelus del 7 giugno 2009 Benedetto aveva affermato che “Dio è tutto e solo amore”. Usano lo stesso linguaggio per proporre lo stesso annuncio all’umanità di oggi: ed è qui che va cercata la continuità tra i due. Quella che conta.
La continuità che conta
è sulla teologia dell’amore
Non solo continuità direi, ma gaudium magnum di avere due papi in sequenza che – pur tanto diversi – incentrano la loro predicazione sul messaggio di Dio-amore, Dio-misericordia: ci vedo la riprova che tale debba essere la predicazione cristiana in quest’epoca.
Come secondo elemento di continuità, metto la chiamata alla penitenza per il peccato che è nella Chiesa: anche Francesco sente molto il conflitto tra “le due bandiere” come lo chiama Ignazio di Loyola negli Esercizi. Il peccato e l’urgenza di prendere decisioni apostoliche: è avvertendo quell’urgenza che Benedetto ha deciso la rinuncia e che Francesco ha subito messo in cantiere un intero paniere di decisioni.
Anche la semplificazione delle vesti, che alcuni vedono male e interpretano nel segno della discontinuità, io la vedo provvidenzialmente collegata: il papa emerito rinuncia al rosso, al rocchetto e allo stolone e il nuovo lo segue a gara.
Ma è sull’asse centrale dell’amore e della misericordia che occorre insistere. Qui la continuità ha avuto una manifestazione probante nel paragrafo 179 della Evangelii gaudium dove a fondamento della “assoluta priorità dell’uscita verso i fratelli” che tanto gli sta a cuore, il papa dei poveri cita uno dei testi maggiori – e più trascurati – del predecessore, il motu proprio Intima Ecclesiae natura (dicembre 2012) sul “servizio della carità” visto come irrinunciabile alla pari di quello della liturgia e della predicazione: «Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza».
Anche il distacco dal mondo
li vede appaiati
Il 12 dicembre scorso – quando già avevo abbozzato questa mia tavola delle continuità – ho ascoltato in Roma dal cardinale Scoenborn, alla presentazione del volume di Giovanna Chirri su Benedetto intitolato L’ultima parola (San Paolo 2013), l’appassionato richiamo di un’altra continuità, quella della chiamata della Chiesa al “distacco dal mondo” che era stata proposta da Benedetto il 25 settembre 2011 ai cattolici di Friburgo: “Tutto ciò che Benedetto disse in quell’occasione ci appare oggi come il programma di papa Francesco, in particolare quando ha insistito sulla tendenza contraria al Vangelo di una Chiesa soddisfatta di sé, che si é accomodata nella sua istituzionalizzazione, ignorando la chiamata a essere aperta a Dio e al prossimo”.
Luigi Accattoli
Il Regno attualità 2/2014