Articolo pubblicato come fondo dal “Corriere della Sera” del 26 luglio 2013
Molte informazioni da decifrare sono contenute nella decisione del Papa di non accettare domande dai giornalisti sull’aereo che lo portava a Rio: egli è meno moderno, nel rapporto con i media, rispetto ai predecessori che quelle domande le accettavano; ed è geloso dell’autonomia delle sue parole, che non vuole siano condizionate dalla curiosità del mondo.
C’è di mezzo il Vangelo che dice “siate candidi come colombe e astuti come serpenti”. Né bisogna dimenticare la sua formazione di gesuita: egli probabilmente si sente chiamato a essere povero come Francesco ma anche prudente come Ignazio. E forse la sedia vuota al concerto non è lontana da questo scenario.
Un punto è chiaro ed è un elemento del suo metodo di governo, che ci è noto per altre decisioni riguardanti la propria azione: egli non ama teorizzare o spiegare quello che intende fare; e spera che facendo senza dire gli riesca meglio di esercitare quella pienezza di poteri che il sistema cattolico gli attribuisce ma che la legge della consuetudine decurta drasticamente.
L’avevamo visto esercitare quest’arte del fare senza dire a proposito degli abiti, della preferenza per il titolo di “vescovo di Roma”, della scelta di restare al Santa Marta, della celebrazione quotidiana “con il popolo”, degli spostamenti con auto ordinarie invece che con quelle di rappresentanza.
In questo debutto con i giornalisti non gli era difficile prevedere le domande sullo Ior e sulla “lobby gay”, sul celibato e sulle donne. Ma egli sa che ogni parola sulle proprie intenzioni di riforma scatenerebbe la polarizzazione che è in agguato e che fino a oggi è riuscito a tenere bassa proprio con la disciplina della riservatezza.
Stiamo assistendo alla manifestazione di un paradosso comunicativo: il Papa del più diretto contatto con la comune umanità – che si offre disarmato all’abbraccio delle folle – è anche quello che rifiuta di comunicare con i media secondo le regole dell’informazione di massa.
“Davvero io non do interviste, ma perché non so, non posso, è cosi… per me è un poco faticoso” ha detto in aereo a giustificazione del suo rifiuto del botta e risposta su ogni argomento. Una motivazione reticente – forse memore della “restrizione mentale” di cui i Gesuiti furono maestri nei secoli: non sono tenuto a dirti ciò che non hai diritto di sapere – ma trasparente nel suo ultimo significato almeno quanto quella che aveva offerto un giorno della decisione di non abitare l’Appartamento: “per motivi psichiatrici” aveva detto, ma dietro a essi c’erano le ragioni simboliche della rinuncia al protocollo allontanante della residenza storica.
Stavolta dietro la ragione della “fatica” s’intravede quella di non permettere che a dettare l’agenda della sua predicazione sia la logica dei media. Egli sa che cosa succedeva ai Papi Wojtyla e Ratzinger che usavano le interviste sull’aereo come strumento di comunicazione con l’opinione pubblica ma che erano costretti a sottostare a quel dettato: e poteva capitare che invece dei problemi dell’Africa o di quelli dell’America Centrale si dovesse poi parlare sui media, per l’intero viaggio, del preservativo o del destino di monsignor Marcinkus.
Francesco compie un passo indietro rispetto alla ribalta mediatica che dovrebbe – nella sua intenzione – garantirgli una migliore libertà di “annuncio”: le prossime giornate ci diranno se così sarà e come il Papa argentino ne saprà approfittare.
Luigi Accattoli
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