Giuseppe, prete di Palermo, ucciso dalla mafia la notte del 15 settembre 1993 mentre rientra a casa e sta per aprire la porta. Proclamato beato con il titolo di martire il 25 maggio 2013.
Fu trovato con le braccia come incrociate sul petto. Sapeva che cosa l’aspettava e forse ha avuto il tempo di un’ultima preghiera con il corpo. Oppure è stato l’uomo che gli ha sparato a incrociargli le braccia sul petto: forse un gesto di rispetto per il primo sacerdote ucciso dalla mafia. Non il primo in assoluto, ma il primo ucciso in quanto sacerdote: per togliere di mezzo uno che sottraeva i giovani alla mafia e per dare un avvertimento alla Chiesa.
Parroco nel quartiere Brancaccio, che è ad alta densità mafiosa, don Puglisi aveva concentrato i suoi sforzi sull’educazione dei ragazzi e dei giovani, per essi si era imbarcato nell’impresa del “Centro Padre Nostro”, per il quale aveva avuto un aiuto diretto – anche finanziario – dal cardinale Pappalardo. Guidava personalmente i suoi ragazzi, in massa, alle manifestazioni in memoria di Falcone e Borsellino. Per la mafia dunque la sfida era grande. La gente della parrocchia e del centro aperto da don Puglisi avevano ricevuto intimidazioni e minacce, c’erano stati furgoni e porte incendiati. In un’intervista al “Giornale di Sicilia” uscita il 26 luglio 1993, così don Puglisi reagiva alle minacce mafiose:
“Spero che i protagonisti delle intimidazioni cambino modo di pensare e tornino alla ragionevolezza. Si affianchino a noi per chiedere alle istituzioni ciò che è indispensabile per la vita civile del quartiere. E’ la questura a dire che a Brancaccio vivono parecchie famiglie a rischio, bambini che sono a un passo dal diventare come il fratello maggiore, la sorella, i genitori. Stavamo tentando di strapparli a questo destino, di comunicare loro valori nuovi rispetto a quelli trasmessi dalla strada: perché fermarci? Chi usa la violenza non è un uomo, chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell’umanità”.
Qui Puglisi anticipa le ragioni del suo martirio. Userà le stesse parole un anno più tardi il procuratore Giancarlo Caselli per commentare l’incriminazione dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, come mandanti dell’uccisione di don Puglisi: “L’hanno ucciso soprattutto perché toglieva i ragazzi dalla strada e li strappava a Cosa nostra. E’ questa la sua colpa: aver voluto sottrarre ai boss i loro quadri potenziali, erodere il loro retroterra. Un impegno sociale e civile che non è stato tollerato perché faceva venir meno un humus molto fertile”.
Ed ecco alcune parole cristiane fondamentali, che risuonavano nella predicazione di don Puglisi, come sono consegnate agli appunti di alcune lezioni che teneva ai giovani nei campi estivi organizzati dalla parrocchia:
“La persecuzione perché seguaci di Cristo non è solo un fatto di altri tempi ma anche dei giorni nostri (…) E’ difficilissimo morire per un amico, ma morire per dei nemici è ancora più difficile. Cristo però è morto per noi quando ancora eravamo suoi nemici (…)
“Gesù ama tutte le persone che incontra, fosse anche il suo peggior nemico. Una delle sue ultime parole è stato il perdono per quelli che lo avevano inchiodato sulla croce (…)
“Testimoniare Cristo può anche diventare martirio. E, se andiamo all’etimologia greca, vediamo che il martire in quella lingua è proprio il testimone. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza (…)
“Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere con lui, annunciare il suo amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo”.
Compiva gli anni, don Pino, quel 15 settembre in cui gli spararono: 56 anni. Questi appunti sono della seconda metà degli anni ottanta. Essi ci dicono quanto fosse matura e serena la scelta evangelica di don Puglisi: la concentrazione sull’essenziale, riconducendo tutto a Cristo, senza dimenticare mai i fratelli.
Sulla disponibilità a dare la vita i biografi hanno raccolto molte frasi dette ai collaboratori nelle ultime settimane, quando la sua azione pubblica si era fatta più decisa, quasi in risposta all’infittirsi delle intimidazioni: “Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora? Non me ne importa niente se mi ammazzano. Io non ho moglie e figli”.
Un primo sostanziale riconoscimento del martirio di Puglisi venne in tempi rapidi dall’arcivescovo di Palermo Salvatore Pappalardo e da Giovanni Paolo II. Il Papa polacco lo nominò tre volte, durante la visita a Catania e a Siracusa del 4-6 novembre 1994 e in occasione del “secondo convegno ecclesiale nazionale” che si è tenuto a Palermo nel novembre del 1995. A Catania ha messo il suo nome in un elenco di santi e beati siciliani: “Penso anche a don Giuseppe Puglisi, coraggioso testimone della verità del Vangelo”.
Tra le numerose testimonianze rese da Pappalardo, amico e arcivescovo di don Puglisi, riporto questa che fa riferimento all’attestato papale: «E’ molto significativo che tra i grandi testimoni della fede, di una fede che arriva al martirio in Sicilia, il Papa abbia ricordato anche il nostro don Giuseppe Puglisi “coraggioso testimone della fede”. Io sono stato molto grato al Papa, gliel’ho anche detto, per questa grande sensibilità, per questo accenno che lui ha voluto fare e che a noi fa comprendere come questa figura luminosa di Puglisi la dobbiamo tenere come un segno, in alto, per ispirarci alla sua azione e alla sua spiritualità» (intervista ad “Avvenire”, 11 novembre 1994).
All’omelia della messa di commiato, il cardinale aveva detto queste parole, forse ancora più impegnative: “Padre Puglisi è morto per aver avuto fame e sete di giustizia divina e umana. E’ morto per questa sete di cose giuste. Niente lo ha fermato: né morte, nè vita, nè presente, nè futuro… Niente e nessuno ha potuto impedire il suo grande amore per Dio che diventava, come dev’essere per ogni cristiano, interesse, solidarietà, servizio per quanti hanno bisogno di essere aiutati nel corpo e nello spirito”.
La mafia siciliana avrebbe messo le bombe che il 29 luglio 1993 danneggiarono le chiese romane di San Giovanni e San Giorgio al Velabro e avrebbe ucciso don Puglisi per dare un avvertimento alla Chiesa, dopo il monito del Papa ai mafiosi, pronunciato il 9 maggio ad Agrigento: lo hanno raccontato i pentiti ai giudici e lo dichiara alla stampa il 14 luglio 1994 il procuratore capo di Roma Michele Coiro, annunciando otto ordini di custodia cautelare. Secondo i pentiti gli obiettivi da colpire – in risposta all’ondata di arresti di boss latitanti, tra i quali Totò Riina – erano i funzionari dello Stato, la Chiesa e la stampa. Ricordato il monito del Papa ai mafiosi, il procuratore afferma: “A questo contesto sono legati gli attentati a piazza San Giovanni e a via San Giorgio al Velabro, poi proseguiti con l’uccisione di padre Pugliesi”.
Il magistrato Pier Luigi Vigna (che indagava su una serie di attentati mafiosi) disse il 4 marzo 1995 che Don Pino Puglisi, a suo giudizio, fu colpito perché‚ con la sua attività pastorale “contendeva territorio alla mafia”.
Francesco Deliziosi, “3P. Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia”, Paoline, Milano 1994, pp. 214, lire 15.000. In occasione della beatificazione è uscito un nuovo volume del deliziosi, “Pino Puglisi il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” (Rizzoli 2013), che documenta come le sentenze dei tribunali e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia siano state decisive per la causa di canonizzazione. Francesco Anfossi, “Puglisi: un piccolo prete tra i grandi boss”, Edizioni Paoline, Milano 1994. Sempre di Anfossi, “E li guardò negli occhi”, San Paolo 2013. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa nella sua fase finale, tratta anche del rapporto Chiesa-mafia: “Padre Pino Puglisi beato. Profeta e martire” (San Paolo 2013). Francesco Palazzo – Augusto Cavadi – Rosaria Cascio, Beato tra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia, Di Girolamo Editore, Palermo 2013, 199 pagine, 15.00 euro.
La dichiarazione di Giancarlo Caselli che riporto nel mio profilo è in Deliziosi “3P”, cit,, p.179. Sempre da questo volume, capitolo “La parola a padre Pino”, pp. 81-91, sono prese le citazioni dai suoi scritti; l’ultimo brano è a p. 80. Ivi anche, pp. 21s le battute sull’eventualità di essere ucciso. Le parole del cardinale all’omelia della messa di commiato, ivi a p.189.
[maggio 2013]