1. Proviamo a guardare al Concilio dall’esterno e retrospettivamente, come lo può vedere un uomo del nostro tempo. Non voglio dire un uomo della strada. Io sono un lavoratore della comunicazione, un addetto alla comunicazione. Rispetto all’evento conciliare e rispetto alla vita interna della Chiesa sono un osservatore esterno, anche se personalmente partecipe. Quindi conservo un certo distacco.
A quarantacinque anni dall’avvio del Concilio, a quarantadue anni dalla sua conclusione mi pongo la domanda: che cosa ha portato nella storia d’Italia? Che mutamenti, che semi, che segni ha lasciato? E che cosa ha colto l’umanità contemporanea di quel messaggio, di quell’evento, di quei documenti? Le quattro generazioni che hanno sperimentato e recepito l’evento conciliare che cosa hanno colto? Quali frutti sono venuti? Nel 1985, Giovanni Paolo II convocò un sinodo per fare il punto vent’anni dopo. E questo sinodo definì il Concilio “massima grazia del secolo ventesimo”, definizione molto bella. Che frutti ha dato quella massima grazia? Mi sforzo di dare un’immagine completa e tento di farlo con otto “sguardi” o flash o immagini, dalla più semplice alla più complessa, dei diversi aspetti dell’opera e del messaggio conciliare. E per ognuna di queste immagini cercherò di dire che cosa è andato bene., che cosa ha dato frutto, che cosa non lo ha dato o lo ha dato solo parziale o è ancora da attendere. Come le novità conciliari sono state percepite dal nostro popolo, dalla comunità nazionale italiana? Non voglio dire solo dalla Chiesa, ma anche dai non-credenti, da coloro che guardano la Chiesa dall’esterno come anche dall’interno.
2. Prima immagine: la più semplice. Il Concilio ha riformato la liturgia. Ha girato gli altari, ha introdotto nelle celebrazioni le lingue parlate, ha rinnovato i riti, ha promosso le concelebrazioni. Questa è la prima immagine che io colgo, la novità più semplice, quella che hanno colto tutti e che non è sfuggita a nessuno. Chi al tempo era già adulto l’ha vissuta come un evento straordinariamente forte, efficace. Alcuni hanno anche reagito con disappunto, con nostalgia del vecchio rito. Ma anche chi non era partecipe alla vita ecclesiale ha percepito che la Chiesa cambiava lingua: parlava le lingue moderne, modificava i suoi gesti liturgici. Sono stati modificati anche gli edifici storici. Se ne accorge chi vede in televisione la diretta di una messa domenicale, chi segue una celebrazione papale, chi accende il televisore magari durante la sede vacante, dopo la morte del papa e vede il vangelo posato sulla bara del papa, vede il vento che sfoglia il vangelo, sente proclamare il vangelo in italiano. Ecco, tutto questo è nuovo e non è sfuggito a nessuno. Che possiamo dire di questa prima immagine di grande mutamento, il più semplice a cogliere? Certamente è riuscito. Ora noi abbiamo la grande attualità del motu proprio con il quale il papa ha facilitato l’uso del vecchio messale. Ebbene la pubblicazione di questo documento è l’occasione per riflettere. È stata un’occasione anche per una valutazione statistica: in Italia erano soltanto una trentina le celebrazioni secondo il vecchio rito autorizzate dal vescovo su domanda di gruppi di fedeli. Con la nuova normativa si prevede che possano essere il doppio: invece che trenta, potrebbero essere sessanta. Gli esperti non prevedono di più. Se si pensa che in Italia ogni domenica si celebrano oltre centomila messe, sessanta su centomila non hanno rilevanza statistica. La novità liturgica è stata non soltanto ben percepita da tutti, anche all’esterno della Chiesa, ma ha incontrato disappunto, disapprovazione, ha provocato nostalgie in pochissime persone. È quindi uno degli elementi riusciti, almeno come fatto. La riforma liturgica ha avuto esito, con qualche sbandata, con qualche sbavatura, con qualche eccesso, ma nella sostanza con molta dignità, con molta efficacia. Ha cambiato il nostro modo di pregare quotidiano e siamo, anche in Italia, abbastanza ben messi per poter accettare questa novità.
3. Seconda immagine di cambiamento. Il Concilio ha modificato l’immagine, la figura degli uomini di Chiesa. Non voglio dire che ha modificato la Chiesa, che sarebbe un’affermazione eccessiva; non voglio dire che ha modificato il ministero, le attività degli uomini di Chiesa, il modo di esercitare la missione che gli uomini di Chiesa svolgono. Dico che ha modificato l’immagine, come è percepita. Per essere più preciso: a seguito del Concilio è profondamente cambiata l’immagine papale. Questo è facile ad analizzare. Ma anche è cambiata la figura – qui immagine e figura si possono usare come sinonimi – del vescovo e del prete e anche del religioso. E sono sorte figure nuove: il diacono permanente, il lettore, l’accolito. Non tutto è stato consequenziale, non si è coerentemente riformato tutto il settore dei ministeri. Tanti sinodi hanno chiesto a Giovanni Paolo II di rivedere le norme riguardanti i ministeri ordinati, lui però non lo ha fatto. Ha fatto leggere le donne nelle celebrazioni papali. Era un papa “empirico”, non modificava le regole e quindi le norme sui ministeri non sono cambiate. Le donne sono escluse formalmente dal ministero del lettorato, però ci sono di fatto. Quindi qui siamo in una situazione di mezzo, di passaggio in cui c’è una prassi diversa, ma le regole sono ancora quelle antiche. Tornando agli uomini di Chiesa – e già l’espressione “uomini di Chiesa” ci dice che la donna vi ha poco spazio – riconosciamo che la figura del papa, la figura del vescovo, la figura dei sacerdoti sono profondamente cambiate. Mi fermo un attimo su quella del papa. Abbiamo visto che i papi sono scesi dal loro trono, hanno abbandonato i flabelli, la corte, la sedia gestatoria. Il movimento va verso il liberarsi di quella pesante eredità simbolica, rituale, di apparato che, come c’era attorno alla figura del papa, c’era attorno alla figura del vescovo. I cardinali avevano 15 metri di coda! Tutte queste cose sono state sfrondate, liberate. Si è andati all’essenza: il papa oggi si comporta come un vescovo. Celebra. I papi non celebravano, assistevano alle celebrazioni. Ora celebra con il popolo. Il prima papa a celebrare con il popolo è Paolo VI. Neanche Giovanni XXIII celebrava: all’apertura e alla chiusura della prima sessione del Concilio celebrava un cardinale e lui assisteva, perché i papi non celebravano. È cambiato tutto.
Poi il papa è uscito dal Vaticano, è andato per il mondo; è andato persino a sciare, si è lasciato fotografare sulla montagna, in abiti non pontificali, si è curato negli ospedali. Prima, se il papa doveva essere operato, si montavano le sale operatorie in Vaticano. Vedete: sono cose che noi quasi non valutiamo, ci sembrano ovvie, eppure non lo sono. Pio XII non lo possiamo immaginare che va sciare o che viene fotografato in abiti borghesi. Non è pensabile: ed è subito prima del Concilio.
Ma questi sono tutti aspetti piuttosto esterni. È cambiata l’immagine papale anche nell’operare del papa: oggi egli è meno il capo della Chiesa, il governo, è minore la sua attività. Egli è più apostolo, va per il mondo, predica, incontra la gente, non governa la Chiesa a tavolino. E poi il papa recupera per intero la sua dimensione umana, cioè il papa è un polacco, è un tedesco. Non si spersonalizza. Secondo la tradizione della controriforma tridentina il papa non era neanche più neanche italiano, anche se erano tutti italiani. Pio XII quando riceveva i pellegrinaggi italiani diceva “la vostra bella patria”; lui non si considerava italiano, era il papa. Invece Wojtyla e Ratzinger si considerano potentemente polacco e tedesco. E questa è una modifica profonda.
E mantengono le loro attitudini, le loro idiosincrasie, le loro passioni. Papa Wojtyla ha pubblicato poesie da papa. Non avveniva più dal Quattrocento che un papa pubblicasse opere letterarie. Benedetto XVI pubblica libri di teologia. Lui è un teologo e continua a fare il teologo, aveva iniziato un libro prima di diventare papa e da papa lo pubblica, adesso fa il secondo volume e dice “ognuno mi può contraddire”. Ecco, è cambiata la figura papale: il papa si ricomprende come un cristiano chiamato ad un particolare ruolo. Non più quell’immagine staccata, angelica, bianca, irraggiungibile che era il papa della tradizione tridentina. Il papa è sceso dal suo trono e non si torna indietro. Papa Ratzinger è molto diverso da papa Wojtyla, ma come papa Wojtyla esprime le sue opinioni. Si muove da Joseph Ratzinger, non diventa completamente Benedetto XVI come invece i papi facevano nella tradizione prima del Concilio. Se non ci fosse stato il Vaticano II questo non sarebbe stato possibile: è stata la valorizzazione della figura episcopale operata dal Vaticano II ed è stata la scelta di papa Montini di firmare i documenti conciliari con la dicitura “vescovo di Roma”. Sono state queste premesse a portare i papi a riscoprire la loro dimensione episcopale: ad usare la mitria invece della tiara, ad avere la croce, il pastorale simile al pastorale del vescovo. Prima tutto questo non c’era: il papa non aveva nulla, non aveva il pastorale e non aveva la croce, tranne quando apriva la porta santa o proclamava i dogmi. La croce astile, cioè su un’asta, che ora usa il papa è il segno della sua acquisizione della funzione episcopale. Non tutto è completo di questo mutamento, ma noi abbiamo capito in che direzione ci si muove, anche se è appena agli inizi. È stato significativo nella figura papale, un po’ meno incisivo nella figura episcopale e sacerdotale; ma vediamo che è avviata la ricomprensione dei ministeri ordinati come funzione del popolo di Dio, e non come casta separata, ruoli staccati e al di sopra della comunità. E questo è portato dal Concilio.
4. Terza immagine. Il Concilio ha spostato – nella percezione collettiva – la collocazione culturale, sociale e politica della Chiesa Cattolica. Attenzione: nella percezione collettiva. Non voglio dire che ha spostato la posizione della Chiesa di fatto e sempre e in tutti i settori, ma nella percezione collettiva sì. La Chiesa era percepita globalmente come appartenente al blocco conservatore: magari non era giusto ma veniva percepita così. La Chiesa difendeva la proprietà privata. Certo, difendeva anche i diritti dei lavoratori, ma nell’opinione pubblica, collettivamente, globalmente era percepita come un’alleata della proprietà, del blocco conservatore; percepita in atteggiamento di contrasto con molte acquisizioni delle società democratiche e pluraliste. Questa percezione è cambiata ed è un frutto del Concilio.
Riassumo questo concetto con un’istantanea: Giovanni Paolo II che il 14 novembre 2002 parla a Montecitorio alle Camere riunite. E’ la prima volta che un papa visita il parlamento italiano, quindi non si può fare un paragone. Neanche Paolo VI e quindi non sono possibili paragoni. Bene che succede? E’ l’ultima apparizione pubblica significativa di Giovanni Paolo II, che cammina col bastone, anche se poi incominciano a portarlo. Fa quattrocento metri con il suo bastone e poi tiene quel discorso così impegnato, così forte. Anche se la parola gli è già diventata faticosa, parla per più di un’ora con grande forza. Ebbene, la destra del nostro parlamento lo applaudiva sui temi della vita, della famiglia e della libertà di educazione; e la sinistra lo applaudiva sui temi della giustizia, della pace, dell’accoglienza degli stranieri e del segno di clemenza per i carcerati. Quella immagine del papa che parla a Montecitorio ci dice lo spostamento nella percezione collettiva prodotta dal Concilio: la Chiesa si è spostata come collocazione culturale, sociale, politica. Apparteneva al blocco conservatore e si è portata al centro. Per una serie di questioni sembra alleata della sinistra e per un’altra serie di questioni sembra alleata della destra. Se nel nostro parlamento fosse potuto andare un papa prima del Concilio, probabilmente non sarebbe successo questo. Probabilmente non ci sarebbe stata questa equa ripartizione di applausi sui singoli temi e i papi non sono andati perché erano percepiti come appartenenti ad uno schieramento. Non perché il parlamento italiano fosse nemico del papa – c’è stata pure la grande maggioranza democristiana, per diversi anni -, ma perché la Chiesa era percepita come appartenente ad uno schieramento. Quando questa percezione è cambiata, questo incontro è potuto avvenire. Questo è un frutto del Concilio. Altro elemento in cui si può evidenziare lo spostamento della Chiesa nella percezione dell’opinione pubblica sono i riconoscimenti sugli errori del passato che sono in parte nei documenti conciliari e che sono poi stati sviluppati da Giovanni Paolo II nella Giornata del Perdono giubilare. La Chiesa del Vaticano II non è più quella che resisteva alla scienza, quella che ricorreva al braccio secolare per avere sostegno nelle sue posizioni sulla scena pubblica, quella che benediva gli eserciti schierati in battaglia, che discriminava i non-appartenenti alla propria compagine. E’ una Chiesa che chiede perdono per quei comportamenti. Ecco: questo è un riposizionamento.
5. Quarta immagine. Il Concilio ha proclamato – in mezzo a mille contrasti ma conclusivamente e con una certa forza – che i cristiani devono essere amici degli ebrei e ha avviato un cammino di riavvicinamento. Questo in Italia lo percepiamo poco; non lo percepiamo abbastanza perché abbiamo una comunità ebraica antichissima ma minima, la comunità ebraica più antica d’Europa, ma una delle più piccole. E lo percepiamo a livello intellettuale perché leggiamo, perché ci informiamo, ma quasi mai incontriamo ebrei nella nostra vita quotidiana. Però sappiamo che nel mondo di ebrei ce ne sono tanti e sappiamo che problema c’è, quanto è grande, quanto lo è stato storicamente. Quando Giovanni Paolo II è andato nella sinagoga di Roma, quando è andato al Muro del Pianto a Gerusalemme nell’anno 2000, quando ha chiesto perdono per il maltrattamento degli ebrei, tutta la nazione italiana si è accorta di questo atteggiamento. Abbiamo visto il rabbino Toaff abbracciare il papa: senza il Concilio non avrebbe potuto avvenire, storicamente, questa immagine non esisteva. Il papa al Muro del Pianto ha pregato non assieme, ma nello stesso luogo e subito prima e subito dopo del rabbino e hanno pregato con un salmo ciascuno, cioè con le stesse preghiere. Anche questo prima non era pensabile. Per rendere efficacemente questa situazione potrei citare due espressioni dialettali: una che riguarda il paese dove sono nato io, Recanati nella Marche, e una che riguarda il paese dove è nata mia moglie, Nerviano in provincia di Milano, due luoghi ben distinti. A Nerviano in provincia di Milano per dire che una persona è intrattabile, un poco di buono, un asociale, un pericoloso, si diceva che era un ebreo. Si diceva: “e che sei? Un ebreo?”. I genitori quando che non riuscivano a farsi intendere da un figlio, perché non andava più a messa, dicevano: “che sei? Ebreo?”. Nelle Marche la cosa è ancora più forte. A Recanati, quando c’è la processione del Venerdì Santo – una processione in costume, molto tipica, molto tradizionale, ancora molto fastosa, che risale al Seicento – ci sono degli incappucciati che scortano Cristo che porta la croce e questi incappucciati sono chiamati cangiudei che vuol dire “cani giudei”. E cangiudeo nel linguaggio popolare vuol dire il cattivo, il perfido: “L’ha trattato come un cangiudeo”, “Si è comportato come un cangiudeo”. Neanche lo sanno le persone cosa dicono perché lì ebrei non ce ne sono, è un’immagine, diciamo, di teatro. Non è antisemitismo, ma è il retaggio di un atteggiamento di diffidenza, avversione, inimicizia. Il Concilio ha sgomberato il campo da questo.
6. Quinta immagine del cambiamento. Ha voluto il riavvicinamento tra Chiese cristiane e le altre religioni. Anche questo in Italia lo vediamo poco. Perchè in Italia di Chiese cristiane non cattoliche fino ad ora c’erano solo i valdesi, i valdo-metodisti. Ma li si conosceva soltanto nelle valli valdesi, a Roma, a Milano, in altre grandi città – a Firenze, a Bologna – e in qualche piccolissima comunità. Nel resto del paese non c’erano. Adesso, con l’immigrazione dai paesi dell’Est europeo, ci sono gli ortodossi e cominciamo a sentire il problema anche nella quotidianità. Prima era un problema degli intellettuali, che avevano percepito come sul pianeta, al di fuori dell’Italia, questa fosse una grande questione. Ora i cristiani cessano di combattersi, cercano di intendersi, cercano di avvicinarsi, di superare i contrasti del passato. Questo è una conseguenza del Concilio. Quando vediamo i raduni ecumenici (magari in occasione dei viaggi papali nel mondo) oppure quando si riuniscono le Conferenze o le Assemblee del Consiglio Ecumenico delle Chiese e vediamo che sono rappresentate tutte le Chiese e ci sono gli orientali con quei loro copricapi caratteristici, ci sono i luterani, ci sono i calvinisti che ormai vestono in abiti non ecclesiastici e hanno anche le donne ministro. Oggi si fanno queste grandi riunioni e si prega insieme. Quando Giovanni Paolo II convocava le giornate di Assisi e c’erano anche i non cristiani, tutti i cristiani pregavano finalmente insieme il Padre nostro. Non si era mai visto, non era mai avvenuto, non era mai stato possibile. E questo è un frutto del Concilio. Pensate quale sarebbe oggi la nostra difficoltà nell’indebolimento che hanno tutte le Chiese nel nostro mondo, europeo ed occidentale, che si va allontanando dalla tradizione cristiana. Pensate che difficoltà enorme avremmo se ancora stessimo a combatterci tra cattolici, ortodossi, luterani, calvinisti come abbiamo fatto per tanti secoli. Pensate alla provvidenzialità che questo combattimento sia stato sostanzialmente disinnescato proprio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Quando Giovanni XXIII pensa al Concilio, non si percepiva la crisi cristiana che noi oggi abbiamo davanti agli occhi. Ebbene, se non si fossero fatti quei passi, se non si fosse disinnescata l’inimicizia, oggi noi ci troveremmo a far fronte alla secolarizzazione essendo ancora divisi gli uni dagli altri e in lotta tra di noi. Ancora, pensate che cosa sarebbe il problema di incontrare e fare i conti con l’Islam, un interlocutore così difficile, così aspro, intrattabile a volte, se il Concilio non ci avesse preparati ad interloquire, a parlare con tutti, anche con gli islamici; se avessimo mantenuto tutte le prevenzioni che avevamo prima e ci fossimo trovati con l’Islam in casa essendo assolutamente impreparati, avendo ancora la mentalità dei secoli in cui eravamo lontani, quando ognuno stava a casa propria e loro pensavano il peggio di noi e noi il peggio di loro. Dico di più e stringo questo ragionamento ad una data: la provvidenzialità che Giovanni Paolo II sia entrato in una moschea il 5 giugno del 2001, esattamente tre mesi prima dell’11 settembre. Dopo l’11 settembre probabilmente non sarebbe stato più possibile, sarebbe stato percepito come un gesto provocatorio. Per fortuna questo papa profeta ci è entrato prima, ha creato un precedente e così è potuto andare in una moschea anche Benedetto XVI. Questa è la Provvidenza che guida questi gesti e questi gesti non potevano avvenire senza il Vaticano II.
7. Sesta immagine di mutamento. Il Concilio ha voluto il dialogo con gli uomini di buona volontà e ha creato i presupposti e le motivazioni perché i cristiani collaborassero con gli uomini di buona volontà in un lavoro comune a difesa e promozione della pace. Nell’ultima marcia Perugia-Assisi c’erano, secondo la mia stima, forse 40.000 persone. Sono tante, non pagate da nessuno, arrivate da tutta Italia. Benedetto XVI ha inviato un messaggio di saluto. Questa marcia è fatta al 90% da cattolici: sono gli scout dell’AGESCI, sono le ACLI, è la Comunità di Sant’Egidio, sono le organizzazioni del volontariato, sono i giovani di Azione Cattolica. Ma poi si intreccia, in questa marcia, tutto il mondo laico, i Verdi, i radicali.
Io sono andato diverse volte a questa marcia, non per marciare, ma perché lì avvengono anche dei dibattiti, delle presentazioni, come un dibattito, organizzato dalle ACLI la sera prima della marcia, a quarant’anni dalla Popolorum Progressio. Ebbene, un contesto di questo genere non era pensabile prima del Concilio. Nel 2003, quando c’era la grande discussione per cercare di evitare la guerra all’Iraq, Giovanni Paolo II gridava “Mai più la guerra!”. Ebbene, si tennero grandi manifestazioni per la pace in tutto il mondo: a Tokyo, a New York, a Londra, a Roma, più volte lungo tutta quella primavera. E Giovanni Paolo II era contento di queste manifestazioni: le interpretava come un segno della maturazione della idea di pace tra i popoli, come un segno di speranza per il futuro. E quando indiceva le giornate di digiuno per la pace contro l’ipotesi della guerra e dichiaravano di aderire anche non credenti, lui era contento e ringraziava quelli che avevano aderito. Questo atteggiamento di disponibilità a collaborare con gli uomini di buona volontà nella promozione della pace è un frutto della Gaudium et Spes in specie e del Concilio in generale.
8. Settima immagine di novità. Il Concilio ha riconosciuto la libertà religiosa. Ho detto che si andava dalla cosa più semplice, che era la novità liturgica, alle più complesse. Bisogna porsi a livello universitario, ci vuole riflessione, bisogna essere informati, per capire bene cos’è la libertà religiosa. Ora che ci scontriamo con l’Islam iniziamo a capirlo perché vediamo cos’è la mancanza di libertà religiosa, l’oppressione nel campo della fede. Ma noi questi problemi li abbiamo superati e quindi per noi sono difficili da intendere. Riassumo con due frasi il cambiamento che c’è stato su questo tema. Nel Sillabo, un documento di Pio IX a metà dell’Ottocento, c’è scritto: “Sia anatema – cioè sia scomunicato – chi afferma che si possa cambiare religione per seguire il convincimento personale”. E Benedetto XVI, ricevendo l’inter-parlamentare democratico-cristiano, afferma: “È un diritto fondamentale dell’uomo quello di cambiare religione”. Il contrario. Nell’Ottocento la Chiesa resisteva all’idea della libertà religiosa e condannava il diritto di cambiare religione. Adesso la Chiesa che si scopre nella sua dimensione universale e che subisce l’aggressione degli indù in India contro le conversioni al cattolicesimo e che subisce le fatwa islamiche contro la conversione di islamici al cristianesimo e al cattolicesimo, la Chiesa rivendica la libertà di religione e scopre il valore della libertà religiosa. Questo mutamento non era possibile senza il Vaticano II. Con il Concilio, la Chiesa Cattolica ha avviato quello che Joseph Ratzinger in un libro-intervista ha definito “il grande balzo nel presente”. Non lo ha completato: lo ha avviato. Quando noi ci stupiamo leggendo come si comportano gli islamici nei confronti di coloro che abbandonano la religione islamica e si convertono al cristianesimo, dobbiamo riflettere sul fatto che noi facevamo lo stesso: anche noi condannavamo l’apostata, colui che abbandona la propria religione. Il cambiamento di atteggiamento è venuto appunto dal Concilio con il documento sulla libertà religiosa.
9. Ultima immagine di cambiamento: la più difficile a descrivere e anche quella meno riuscita. Il Concilio ha promosso partecipazione e concertazione all’interno della Chiesa. Questo è stato realizzato abbastanza: sono nati consigli, conferenze episcopali, sinodi, convegni, comitati. È come se la convocazione del Concilio fatta da Giovanni XXIII non fosse mai cessata, come se la Chiesa fosse rimasta in stato di concilio permanente. I vescovi sono tornati a casa, però ogni tre anni si riuniscono i sinodi, le conferenze episcopali si radunano una o due volte all’anno, nelle diocesi si fanno i sinodi locali. Bene, tutto questo lavorare, ricercare, studiare, discutere è un prolungamento della convocazione conciliare. Io amo vederlo così. E lo vedo come un elemento di salute nella crisi che subisce il nome cristiano oggi nel nell’Occidente sviluppato, un elemento di forza. Noi stiamo svegli sui problemi della fede, non ci acquietiamo. Questo è un buon segno e lo si vede in tutta questa elaborazione. Ma questo è anche il punto, tra gli otto, dove il risultato è stato più parziale, solo iniziale. Perché questa partecipazione e concertazione che parte dal Concilio avrebbe dovuto realizzare, dare corpo e consistenza fattuale alla pari dignità di tutti i battezzati affermata dal Concilio, affermata dal Vangelo, fondata sul Vangelo. “Uno solo è il Signore e voi siete tutti fratelli” dice Gesù. Il Vaticano II parla di pari dignità di tutti i membri della Chiesa: questa non è stato realizzata, non è ancora realizzata. Non voglio dire che non verrà realizzata; no: è ancora da realizzare. Se uno mi chiedesse dove il Concilio è meno attuato io direi in questo punto. Però lo affermerei nel senso dei un impegno da portare avanti, non di sfiducia nella realizzabilità. Il testo a cui faccio riferimento è: Lumen Gentium 32, “Uno solo è dunque il popolo che Dio si è scelto: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la occasione alla perfezione. Una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità… Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune di tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo”. Ora io credo non ci sia bisogno di fare un lungo discorso per convenire che questo non è realizzato. Queste parole erano dette con un’intenzione molto chiara perché era una Chiesa a dominante clericale. È mutata la figura degli uomini di Chiesa, ma al mutamento delle figure papale, episcopale e sacerdotale non si è accompagnata un’adeguata promozione del ruolo dei laici e in particolare delle donne. E quindi la situazione resta sbilanciata, fortemente sbilanciata.
È vero però che dei passi di avvio sono stati fatti. Ne cito uno soltanto: il riconoscimento della santità degli sposati. Quando nel nuovo rito del Matrimonio si fa l’invocazione dei santi, si invocano i santi sposati e quando si invocano i santi sposati: santa Rita da Cascia, santa Monica mamma di sant’Agostino, santa Francesca Romana. Tutti santi antichi. Anche Tommaso Moro, che muore nel 1534, se ricordo bene, è antico. Ma poi c’è Beretta Molla, santa contemporanea, il primo santo sposato dell’epoca contemporanea. Tra Tommaso Moro e Gianna Beretta Molla non è stato proclamato nessun santo sposato per mezzo millennio.
Ecco che cosa intendo quando la pari dignità non è riconosciuta, neanche la santità: certamente il più gran numero di santi erano sposati perché il 99% dei cristiani sono sposati. E la cura della famiglia, l’amore dei coniugi, l’amore per i figli, sono luoghi di santità; ma questo non veniva riconosciuto perché non c’era il riconoscimento della pari dignità, perché si riteneva che la condizione del religioso, del sacerdote, del vescovo, del papa fosse una maggiore vicinanza alla perfezione – come si usava dire – e quindi i santi andavano cercati in quella direzione. A seguito del Concilio c’è voluto del tempo, ma le cose maturano. Giovanni Paolo II ha potuto proclamare una decina di beati sposati e poi infine una santa sposata. E alla proclamazione di Gianna Beretta Molla, a piazza San Pietro, era presente il marito ancora vivente. È potuto avvenire questo straordinario evento. Cito soltanto questo aspetto per dire che il cammino si sta svolgendo. Su questo punto è solo agli inizi, su altri punti ne è stato fatto molto.