Schifani non schifare l’avversario
Fini non finire nel sacrario
Ali Alemanno
Tremonti perché non alzi il viso
E ci dai un’idea per il riso?
Schifani non schifare l’avversario
Fini non finire nel sacrario
Ali Alemanno
Tremonti perché non alzi il viso
E ci dai un’idea per il riso?
Ho votato Rutelli e ho pure scommesso che avrebbe vinto ma non piango per la sconfitta. Che qualcosa non andasse nell’amministrazione di Roma lo sapevo e non mi dispiace che si provi a mutare passo. Mi assegno anzi il compito di rendere comprensibile il passaggio a chi lo vede come una iattura. La parte più sveglia di me – diciamo quella femminile – si era ribellata d’istinto all’annuncio della candidatura Rutelli: “Si torna indietro, non ci posso credere”. Ma il cronista del Grande Giubileo, uomo di mondo, aveva avuto la meglio: “E’ un personaggio credibile, ha fatto bene a suo tempo, è anche cresciuto come figura cristiana”. Un secondo scatto la donna che è in me l’aveva avuto in occasione del confronto televisivo con Alemanno, quando il cronista del Giubileo diceva “ha ragione Rutelli, Roma in questi anni è migliorata” e lei, la mia parte femminile, replicava: “E’ vero per il centro e non per le periferie”. Ma io sono un uomo di carattere, avevo votato due volte Rutelli e due volte Veltroni, che conosco ambedue di persona e dunque ho messo a tacere la mia anima libera lasciandole la parte dello scherzo e scherzando domenica ho buttato là il motto “Papa tedesco e sindaco Alemanno” (vedi post del 27 aprile) che ora sta facendo fortuna. Mi dispiace per la figura cristiana di Rutelli a cui tengo ma non mi dispiace che una grande famiglia com’è quella della città di Roma metta alla prova tutte le energie di cui dispone, comprese quelle umorali e generazionali. E’ bene sui tempi lunghi che il potere si sblocchi e ognuno possa dare il suo apporto.
Benedetto impone le mani ai nuovi presbiteri e prolunga il gesto per un tempo insolito. Persona che è con me commenta: “Mamma che lungo! Quello se ne ricorderà per tutta la vita. Gli rintronerà la testa chissà per quanto”.
Il Corriere della Sera di ieri aveva a pagina 25 questo bellissimo titolo: “Può morire se sente un profumo. La donna allergica al mondo”. Si parla di Antonella Ciliberti, 34 anni, di Crocetta di Montello, Treviso, affetta da sensibilità chimica acuta, costretta a una vita decontaminata e chiusa al vento, ai fiori, a ogni turbamento dell’odorato. Ma ciò che mi interessa è l’efficacia del titolo che ne hanno tratto i miei colleghi titolisti, facendone una notizia fantastica alla Borges. Mi è tornato alla memoria quello che considero il migliore titolo mai letto sul mio giornale, che è del 24 gennaio 1979: “Addio, Dalì Dalì Dalissimo”, dominante una delle mitiche “terze pagine” del Corsera d’antan, nella quale Renato Barilli e Carlo Bo ricordavano il genialissimo Dalì in occasione della morte. Come già detto qui in più occasioni (vedi post del 6 agosto 2006 e dell’11 dicembre 2007), la bellezza è frequente e anche nei titoli dei giornali. Essendo uno degli sfoghi abituali dei lettori lamentarsi dei titoli, mi propongo di lenire il lamento proponendo – quando capita – l’uno o l’altro dei titoli migliori.
Avendo affermato a suo tempo (vedi post del 4 marzo) che “avrei lasciato in pace Padre Pio”, visto il risultato dell’ostensione avvenuta oggi a San Giovanni Rotondo aggiungo che quello che abbiamo visto non è il corpo del santo di Pietrelcina come già non vedemmo papa Giovanni quando fu portato dalle Grotte alla Basilica vaticana. Forse la scelta della maschera di silicone è stata più felice che non quella del rimodellamento in cera realizzato per papa Giovanni: la quantità di cera che fu allora necessaria per coprire il danno del tempo produsse infatti un volto gigante, che non solo non risponde al vero ma neanche allude a esso. Il silicone invece rispetta le dimensioni e dunque rimanda al vero come lo farebbe una scultura, o una foto. Ma quello che vediamo non è il corpo: solo sappiamo che le ossa e qualche lacerto muscolare sono sotto quel saio e sotto quella maschera. Se si volesse davvero il contatto visivo con i corpi santi, li si dovrebbe esporre come li ha ridotti il tempo. Così infatti si faceva in antico ma non essendo questo possibile oggi – personalmente non me lo auguro – ritengo che la scelta migliore sia di custodire i corpi nelle tombe senza presumere di poterli portare alla vista. Quella presunzione produce dei falsi. Come già detto al post indicato, mi rendo conto che questa mia opinione nulla alza a petto dell’emozione delle folle che già accorrono laggiù. Ma sono convinto che anche le opinioni minoritarie vadano espresse, con il garbo necessario, perché si sappia che nel sentimento dei contemporanei c’è anche quello di qualcuno che ama cercare la memoria di Padre Pio nelle foto e nei cinque volumi delle sue lettere e non apprezza che si dia a credere di poterlo “vedere” in quella teca.
“I bagagli allineati a terra lungo la parete di destra, i giornalisti lungo la parete di sinistra”: siamo al controllo di sicurezza per l’imbarco sul B777 dell’Alitalia per il volo New York-Roma. Spettacolo del lupo scodante che annusa di corsa i bagagli, orgoglioso del suo lavoro. Se fossi un cane vorrei fare il poliziotto.
Ernesto John Salvatore Migdalia Kathleen Helga Miguel Mary Emmet Christy Desirèe Laura Paul Eileen Dymphna Joseph Linda Eileen Julie Rose John Jean Thomas James: sono le 24 persone che erano intorno al papa e al cero da lui acceso poco fa nel fondo della fossa di Ground Zero. Rappresentavano l’umanità toccata da quella tragedia: chi era nelle torri e riuscì a salvarsi, i familiari dei morti, i soccorritori. Ho riportato i nomi per dire che li abbraccio come sorelle e fratelli. Su una tribuna bassa alla destra del papa eravamo noi 65 giornalisti del “volo papale” più altrettanti con l’accredito della città di New York. Noi soli a fare da pubblico a quella preghiera e con noi il mondo. Che era lì rappresentato anche dai 13 grattacieli circostanti che da allora vegliano su quella fossa, cratere e sprofondo. Ancora più spropositati a vederli da laggiù, grigi e ammutoliti, che si perdevano nella nebbia. Un cratere che è un cantiere, dove stanno gettando le fondamenta della “Freedom Tower” che è previsto sorga entro il 2012 e arrivi a 541 metri, superando di 130 le Twin Towers. Gran freddo e tristezza laggiù, a ottanta metri dal suolo, dove siamo restati due ore, poggiando i piedi sulla Bed Rock, cioè il letto di roccia su cui poggia Manhattan. Da laggiù – de profundis – tutti vi ho abbracciati.
“L’elicottero del Santo Padre decolla sempre per primo e atterra per ultimo”: sta scritto nel “programma di lavoro dei gioirnalisti ammessi al volo papale”. Una tempistica che avrà bene un significato, anche se a prima vista appare come un rovesciamento del protocollo vaticano che si applica a ogni appuntamento: “Il papa arriva per ultimo ed esce per primo”. Sono su un quarto elicottero dei marines – dopo i tre del papa e del seguito – che porta quindici giornalisti invidiati dai colleghi perchè saranno gli unici che raggiungeranno la sede dell’Onu – partendo dall’aeroporto J. F. Kennedy – senza perdere il contatto con Benedetto. Bello il volo a farfalla su Manhattan, a tu per tu con i grattacieli, sopra le navi e a lato della voragine dov’erano le due torri. Mi sono divertito e commosso come un bambino. Se non facevo questo mestiere, mai avrei avuto questo regalo. Ed eccomi infine nella tribuna dell’Assemblea generale: neanche qui sarei arrivato. Il giornalismo mi fa vivere al di sopra delle mie possibilità.
Dal crocifisso di Paolo VI alla croce di Pio IX: per una veduta ampia della continuità papale, alla quale ci aveva già invitati con la scelta del nome “Benedetto” che sormontava la serie conciliare dei Giovanni e Paolo.
Da un crocifisso più piccolo di colui che lo portava a una croce più grande di lui. Come a dire: guardate quella e non me.
Da un crocifisso post moderno a una croce della tradizione. Perché l’una sancta catholica parla tutte le lingue.
Dal Cristo del kerigma alla croce del dogma. Per chiarire che è la fede di sempre.
Dal Cristo dell’annuncio alla croce della proclamazione. Per far sapere che i cristiani non solo raccontano ma anche affermano.
Da un crocifisso in argento a una croce d’oro. Perché fu detto “crux gloriosa”.
Dal Cristo tormentato dello scultore Scorselli alla croce splendente degli orafi papali. Perché ogni metallo e ogni arte sono chiamati a prendere parte alla liturgia cosmica.
Da un crocifisso ricurvo a una croce specchiante. Perché ciò che fu piegato fu poi rialzato.
Da un crocifisso realistico a una croce istoriata, con un tondo centrale e tre terminali. Perché la storia che viene evocata non finisce con la morte di croce.
Da un crocifisso nuovo a una croce antica: per stabilire che la Chiesa di sempre non conosce riforme irreversibili.
Sono i pensieri che mi sono venuti osservando la croce astile che papa Benedetto usa nelle celebrazioni dalla domenica delle Palme e che impugnava anche questa mattina per la messa al Nationals Park Stadium di Washington.
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