«Lavorare dove vengono prodotte armi da guerra non era certo la mia massima aspirazione da neodiplomata, ma il Signore mi ha voluto qui, ed è proprio su questo campo di battaglia che si è svolta la mia conversione»: parole di Sabrina Viti che il 3 ottobre ha avuto il premio “Frate Jacopa 2013”, che ogni anno i francescani della Porziuncola assegnano a una donna con una storia di conversione, in memoria dell’amica e discepola di Francesco, Jacopa dei Settesoli, che il Poverello chiamava “Frate Jacopa”. Nella “testimonianza” in occasione del premio Sabrina narra la sua azione di promozione di gruppi di preghiera e di carità in quella fabbrica d’armi e il pianto per quel lavoro, che fu all’origine del suo cammino. La saluto con un bicchiere di Vino Nuovo.
Mi chiamo Sabrina e lavoro dove si costruiscono armi
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Che magnifica storia!
Grazie Luigi per aver reso merito a questa piccola grande donna!
“Sabrina narra la sua azione di promozione di gruppi di preghiera e di carità in quella fabbrica d’armi e il pianto per quel lavoro, che fu all’origine del suo cammino.”
Riesco a capire il dramma di Sabrina, ma sinceramente io vedo in questa vicenda una grossa contraddizione.
Il contribuire a creare armi che seminano morte a mio avviso non viene riscattato dal pregare, e dal far pregare, per quei morti.
Come è possibile giustificare l’incoerenza insita in una vicenda esistenziale di questo tipo?
Il lavoro, è vero, è importante ed è fondamentale per la dignità dell’uomo, ma, a mio parere, non qualsiasi genere di lavoro.
Un lavoro che serve a produrre strumenti micidiali, è un lavoro da scartare. Per un credente è ingiustificabile.
Se le industrie delle armi, in tutto il mondo, non avessero chi vi lavora, sarebbero costrette a chiudere, e questo sarebbe, io credo, un passo davvero importante nella via della pace; certamente molto più importante delle preghiere e delle opere di carità.
La prima opera di carità è quella di non aiutare in nessun modo chi si adopera in una maniera o nell’ altra per mettersi al servizio della distruzione di vite umane.
In altre parole, questi lavoratori dovrebbero fare obiezione alla propria coscienza e vietarsi di lavorare nelle fabbriche della morte.
Vado diretta al punto: Sabrina Viti dopo la conversione avrebbe dovuto lasciare quel lavoro e cercarsene un altro.
Continuando a mettere da fuori tutto quell’impegno alla preghiera e alla carità che prodiga standosene nel “covo” di chi guadagna lautamente alimentando la crescita e la diffusione degli orrendi strumenti di morte.
Le lacrime di coccodrillo servono a mettere in pace la propria coscienza, non servono a ridare la vita a chi la perde per mezzo di quegli orrendi strumenti di morte; e non serve a lenire il dolore di tante famiglie.
Pertanto non riesco a trovare nella vicenda di Sabrina motivi di approvazione.
Luigi, ho molto rispetto per te, ma non posso non dire che, a mio modesto avviso, è una discutibile forzatura vedere un “insegnamento” nella vicenda vissuta da Sabrina.
Probabilmente si dirà che sono drastica, e forse lo sono davvero, ma a me pare che la missionarietà sia altra cosa da quella riconosciuta a Sabrina.
Anche i crociati, con tanto di insegne cristiane, si ritenevano “missionari” quando andavano ad uccidere in nome del Vangelo.
No, Marilisa, io non penso affatto che tu sia drastica. Le tue perplessità sono le mie e ieri, quando ho letto l’articolo su Vino Nuovo, sono rimasta spiazzata e sconcertata.
Sabrina dice: «Lavorare dove vengono prodotte armi da guerra non era certo la mia massima aspirazione da neodiplomata, ma il Signore mi ha voluto qui, ed è proprio su questo campo di battaglia che si è svolta la mia conversione».
Ma come possiamo toglierci dalla mente che il “vero” campo di battaglia è prodotto proprio dai quei missili? Che vengono venduti a chiunque e a caro prezzo, sopra e sotto banco? Che fanno migliaia di morti in tutto il mondo, per i quali facciamo poi i digiuni e le veglie di preghiera? Come si fa a lavorare fino al venerdì, e il sabato mettersi al fianco del Papa e invocare la pace? Come si può ignorare che molta parte dell’economia mondiale si fonda, si muove e prospera sui conflitti e sulla vendita delle armi?
Ripeto ciò che ho scritto in un commento sull’altro sito: chi muore a causa di quei missili non ha alcuna possibilità di scelta. Alcuni sono cristiani. Tutti sono nel posto sbagliato al momento sbagliato. Noi, per fortuna, possiamo ancora scegliere.
Sostanzialmente stiamo esprimendo gli stessi concetti, Nicoletta z.
Forse, se non ci fossero le armi delle industrie infami, gli uomini continuerebbero ad uccidersi con “la pietra e con la fionda” , ma vero è che fino a quando c’ è chi lavora per produrre armi ben più sofisticate,
alla ricerca di quelle tecnologicamente più progredite, si alimenta irresponsabilmente la cultura della morte, oltre che la vanagloria dell’uomo.
E questo è intollerabile. È già di per sé una colpa.
Così facendo non si farà mai un passo avanti sulla via della pace.
E tutti i bei discorsi elaborati e sciorinati per lungo e per largo come bandiere autoreferenziali contro le guerre, risultano il frutto di una ipocrisia che definirla deplorevole è poco.
“Il Signore mi ha voluta qui” a me sembra una autogiustificazione, forse anche in buona fede ma non accettabile.
In questo caso non chiamerei in causa il Signore. Piuttosto parlerei di una precisa volontà personale, all’inizio, di lavorare in un posto qualsiasi pur di avere la gratificazione di un guadagno e di qualcos’ altro.
Se poi da tutto ciò è scaturito il bene della “conversione” e di altre opere buone, mi rifarei al “Dio scrive dritto fra le righe storte” che tutti conosciamo.
E meno male che Dio scrive dritto!
Tuttavia, parlare di “missione” o di “insegnamento” di carattere evangelico è proprio fuori luogo. Da respingere secondo me.
Concordo sostanzialmente con le obiezioni mosse da Marilisa e Nicoletta.
Però vorrei notare che quando il Papa parla di “periferie esistenziali” da evangelizzare, le fabbriche di armi possono rientrare in questa categoria.
Poi forse sarebbe giusto soffermarsi sulla motivazione dei Frati Minori al Premio 2013:
“Sabrina Viti risiede a Marino e svolge la sua attività a Roma, presso una nota azienda europea di produzione missilistica. Moglie e madre di due figlie si è prodigata, con l’aiuto di alcuni fratelli lavoratori, per ottenere dall’azienda uno spazio e il permesso alla realizzazione di una cappella dedicata a S. Giuseppe Lavoratore oggi luogo di preghiera e centro di solidarietà aziendale per i bisognosi lavoratori dell’azienda e i terremotati dell’Abruzzo. Coinvolgendo l’azienda presso cui presta servizio organizza una catena di aiuti per le zone maggiormente colpite. Oggi il “Luogo “ di preghiera è testimone della conversione e guarigione di tanti uomini e donne lavoratori, che ritrovano la fede in Dio.
Sabrina non è stata premiata per il suo lavorare in una fabbrica di missili, bensì per quanto ha fatto dal punto di vista di testimonianza cristiana sul luogo di lavoro (e su questo avremmo tutti molto su cui riflettere).
La Cappella da lei ottenuta all’interno dell’azienda è diventata anche il fulcro di una serie infinita di altre attività nell’ottica di una nuova solidarietà aziendale, dall’aiuto ai terremotati in Abruzzo nel 2009 alla costruzione di un asilo nido interno…
Fatta questa precisazione, sono anch’io per la legittimità dell’obiezione di coscienza in questo e simili casi (vedi il lavoro in case farmaceutiche che producono farmaci abortivi).
Fermo restando il mio massimo rispetto e la stima per Luigi e avendo nel contempo grande considerazione per Sabrina, a me la storia non è piaciuta per niente e ho le mie riserve.
Un caro saluto a tutti.
>Nel senso che non trovo del tutto infondate le obiezioni di Marilisa e Nicoletta.
Anche io concordo con i commenti sopra.
Secondo me i frati potevano anche risparmiare il premio, magari per qualche coraggioso medico o farmacista obiettore … perchè obiettare, nella sanità, non è affatto “gratis”, come forse si pensa da fuori …
“Sabrina non è stata premiata per il suo lavorare in una fabbrica di missili, bensì per quanto ha fatto dal punto di vista di testimonianza cristiana sul luogo di lavoro (e su questo avremmo tutti molto su cui riflettere).”(Luca73)
Luca73, abbiamo capito le motivazioni del premio.
Resta il fatto che la testimonianza cristiana Sabrina avrebbe potuto farla più credibilmente fuori da quel luogo di lavoro, una volta convertitasi.
La contraddizione enorme sta nel fatto che lei prega e svolge attività caritatevoli, sicuramente meritorie, nel luogo in cui si preparano armi micidiali che porteranno morte e disperazione.
In qualche misura lei è connivente con chi distrugge vite umane.
È come se io pregassi per qualcuno nel momento in cui mi accingo a dargli la morte.
Dove sta il merito della preghiera, scusa?
Lei, Sabrina, è costretta a restare lì ?
Ha ragione Momo: i frati avrebbero potuto attribuire il premio ad altre persone coraggiose e generose.
Non riesco a vedere la minima parvenza di “insegnamento” in questa vicenda.
Niente di edificante.
Il “lievito” fuori dalla pasta, marcisce…
il chicco di grano fuori dal terreno non attecchisce…
Fabbricha d’armi: una di quelle tante periferie esistenziali di cui parla Papa Francesco…
“Fabbricha d’armi: una di quelle tante periferie esistenziali di cui parla Papa Francesco…”
Niente affatto. Papa Francesco recentemente ha pronunciato parole chiarissime contro i fabbricanti di armi. Senza ambiguità.
Ha pronunciato parole dure anche contro la droga ma non ha mai detto di abbandonare i drogati al loro destino.
Forse si confonde la periferia con i giardinetti. Periferie sono posti scomodi in cui ci si deve sporcare le mani. (almeno è quello che pare a me)
“Forse si confonde la periferia con i giardinetti.”
🙂 🙂 🙂 🙂 🙂
Difficilmente un giorno di riposo inizia in modo migliore…
Grazie!
Quoto Sara e Ubi
Qua c’è una confusione che sfugge al ragionamento.
Mescolare i drogati a quelli che producono strumenti di morte è devianza o deviazione pura e semplice.
Chi fa ragionamenti del genere non vuol vedere la realtà e travisa.
Chiunque aiuta i drogati, e non produce o spaccia droga, fa autentica opera di carità.
Chi è al servizio dei fabbricanti di armi, ne è connivente. Anche se prega.
Carità fattuale, non a parole, vorrebbe che prima di tutto si uscisse da quella cerchia infernale e poi ci si adoperasse per denunciarne la criminalità.
Altrimenti c’è ipocrisia velata da carità.
Anche se ci fossero mille Sabrine a pregare nella fabbriche di morte in cui restano, venendone PAGATE per produrle, la pace nel mondo non farebbe mezzo passo avanti.
E non mischiamo. per favore, aglio e cipolla. Si tratta di cose ben diverse.
@Marilisa
il dialogo che si è sviluppato su Vinonuovo in merito a questo argomento è interessante, e c’è anche il contributo della protagonista.
Se vuoi, puoi leggerlo, si spiegano bene le diverse posizioni.
A me invece pare che si confonde la pastorale delle situazioni estreme con il giudizio morale su di esse.
uno c’è il giudizio morale sulla produzione di armi che è male.
Due c’è la situazione concreta di uomini che in quelle fabbriche vivono e lavorano e che non possiamo abbandonare a loro stessi,
Pregare sarà inutile ma noi non possiamo escludere che in questo modo si convertano molti cuori anche in un ambiente come quello delle armi.
Non possiamo nemmeno escludere che da quel ripensamento, dal quel risveglio delle coscienze possa venire un bene maggiore che rimanendo lontani 100 chilometri da detti luoghi di “peccato”
Inoltre noi in teoria dovremmo convertire anche il trafficante di droga, non è che siccome è peccatore possiamo fregarcene.
Detto ciò io non ci lavorerei ma è vero che ho la fortuna di non essere costretta a lavorarci.
E dato che è stato fatto il confronto con i medici obiettori non è che un ginecologo obiettore non entri mai in un ospedale, anzi vi lavora e contribuisce a far nascere altre persone.
Voglio dire, una presenza cristiana in certi luoghi può contribuire a “umanizzare” situazioni immorali.
Almeno si può tentare.
Continuano i paragoni inadeguati.
Se si vuole che non ci siano più guerre, non devono esistere le industrie delle armi da spedire nei Paesi dove le guerre vengono fatte ( e pertanto le armi vengono richieste).
Queste industrie funzionano perché c’è chi ci lavora.
Si deve contribuire in ogni modo per dismetterle.
È possibile riconvertirle, ovvero trasformarle in industrie di altro genere. E i tanti lavoratori non perderebbero i loro posti di lavoro.
Chi ci lavora dovrebbe fare pressione, in qualsiasi modo, per prospettare altre soluzioni.
I cristiani a maggior ragione.
Tutte le volte che si parla della necessità di cambiare una certa situazione, viene fuori il discorso di chi lavora e sostenta una famiglia stando in quella determinata situazione, per cui non si dovrebbe cambiare niente di niente.
Posso capire ma non giustificare.
Esistono anche i compromessi per cambiare uno stato di cose. E i compromessi sono importantissimi quando si tratta di pensare alle migliaia di vite umane che dipendono da essi.
Parlare, come fa Sabrina, della potenza della preghiera e del Rosario ( armi fortissime) significa in qualche misura cercare una difesa, anche in buona fede, alle obiezioni della propria coscienza.
Significa non sapere che la preghiera serve più a cambiare il nostro cuore che a far cambiare la volontà di Dio.
Significa ignorare che dobbiamo cambiare NOI, non Dio.
E comunque, ribadisco che in tutto questo una grande parte in causa ce l’ hanno i frati francescani che hanno attribuito, giulivamente, il premio a “frate Jacopa”, verso la quale, tuttavia, ho un grande rispetto.
“È possibile riconvertirle,” vero ma se Sabrina non lavorasse lì, al suo posto probabilmente si troverebbe qualcuno con meno scrupoli che non aiuterebbe magari a porre l’attenzione sulla necessità di riconvertirle.
I cristiani oggi sono una minoranza non è che senza di loro le fabbriche chiudono.
Secondo me il senso del premio era questo, con tutti i dubbi del caso.
Ah se non esistessero le tentazioni pensò tra se e se Sant’antonio il Grande…
poi pensandoci meglio si rispose: “togli le tentazioni, e nessuno si salva”
Antonio maiuscolo, e che maiuscolo…
perdonatemi
Non possiamo nemmeno escludere che da quel ripensamento, dal quel risveglio delle coscienze possa venire un bene maggiore che rimanendo lontani 100 chilometri da detti luoghi di “peccato”
Inoltre noi in teoria dovremmo convertire anche il trafficante di droga, non è che siccome è peccatore possiamo fregarcene.
Detto ciò io non ci lavorerei ma è vero che ho la fortuna di non essere costretta a lavorarci.