«Maresciallo, ho fatto una sciocchezza. Venga, ho appena ucciso una donna a Trinitapoli»: il maresciallo dei Carabinieri è di stanza a San Ferdinando di Puglia e si chiama Giuseppe Francioso. Riceve quella chiamata il 30 dicembre scorso. A Trinitapoli trova il conoscente accanto al cadavere di Diana Lasecchia. Nell’altra stanza un bimbo di dodici anni che dorme. Quel bimbo il maresciallo lo conosce: la mamma prostituta, il padre un pregiudicato che non l’ha voluto riconoscere. Il maresciallo lo seguiva da sei anni e una volta l’aveva avuto ospite in casa per un mese, in attesa che fosse accolto in una comunità. Vedendolo dormire a pochi passi dalla mamma morta decide di chiederlo in adozione. Chiama il figlio Benito, anch’egli carabiniere, gli dice di prendere il bambino e di portarlo a casa loro, da mamma Piera che è la mamma di Benito e la moglie di Giuseppe. Le pratiche per l’adozione hanno termine l’8 luglio e questo è il commento del ragazzino: «Sono contentissimo come una belva». La storia è narrata dal collega Fabrizio Caccia sul Corriere della Sera dell’11 luglio, a p. 20: Bimbo solo dopo il delitto e il maresciallo l’adotta.
«Gli hanno ucciso la mamma: lo prendiamo noi»
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Ho appena finito di leggere il caso di Giuseppe Francioso, maresciallo a S. Ferdinando di Puglia, che prima accoglie e poi adotta un figlio di una prostituta uccisa. L’ho subito collegato ad un mio antico ricordo e al recente arresto, in flagranza di reato, di un tenente colonnello della Cecchignola per concussione: stava prendendo 5mila euro di mazzetta da un fornitore di servizi dimostrando che la corruzione è ormai presente anche nelle più insospettabili istituzioni.
Dopo la Scuola ufficiali di complemento ero, nel 1962, sottotenente di prima nomina in una grande caserma di S. Giorgio a Cremano (Na). La regola ci chiamava periodicamente al servizio di “picchetto”. Tra le tante consegne da osservare in quel giorno, c’era anche quella di certificare la quantità e il peso di alimenti(tra cui caffè, zucchero, pasta, riso, pelati ecc.) che le ditte ci consegnavano periodicamente. L’abitudine era quella di assistere alla sistemazione della merce in alcuni depositi vicini alla cucina di cui aveva le chiavi il maresciallo addetto al vettovagliamento, e, nella bacheca delle chiavi comuni di riserva , il caporale che giornalmente comandava il corpo di guardia. Scaricata la merce il maresciallo responsabile una volta siglato e fatto firmare all’ufficiale di picchetto il foglio di consegna, chiudeva a chiave i locali e andava a dormire. Quella sera, dopo la sistemazione della merce e verso l’una di notte, mi sono ritirato nella angusta stanzetta adibita al riposo degli ufficiali di picchetto, e mi sono sdraiato sulla branda vestito, per qualche ora di sonno.
L’indomani verso le cinque di mattina sentii bussare alla porta. Mi sorpresi di quel bussare educato ma insistente, specie a quell’ora. Ma data la mia giovane età e il luogo, non mi preoccupai più di tanto. Aprii e mi vidi di fronte l’anziano colonnello comandante, alquanto insonnolito, che assieme ad altri sottufficiali mi pregava di prendere la chiave di riserva e di andare assieme a lui nei locali dove la sera prima avevamo controllato e depositata la merce consegnata. In verità non avevo subito capito di che si trattasse. Capii solo quando il colonnello ordinò ad un sergente di pesare il caffè e lo zucchero. Una volta messi sulla bilancia ho avuto modo di constatare che i conti non tornavano. In sostanza, confrontati i pesi con il foglio di consegna della sera precedente da me firmato , mancavano circa due chili di caffè e circa cinque di zucchero, forse, ma non ricordo bene, anche cinque o sei chili di pasta. Fatta questa operazione il colonnello e il suo seguito andarono subito via. Ma ancora oggi mi ricordo grosso modo le sue parole di saluto: “… caro tenente deve sapere che nella vita si deve sempre controllare che i collaboratori siano onesti… E se ci sono dei disonesti è bene che vengano individuati, puniti e allontanati… Se lo ricordi sempre. Solo con gli onesti può funzionare la nostra Patria. Saprà… saprà… la ringrazio e scusi”. Ripensando a quelle parole e mettendole vicine alla arrogante corruzione generalizzata dei nostri giorni come quella del colonnello della Cecchignola arrestato, ancora oggi devo dare ragione al mio vecchio comandante. Ma quel monito segna anche il ricordo di un tempo in cui gli alti ufficiali erano educati nonostante l’autoritarismo militare che dovevano formalmente esercitare. Un ceto morto e sepolto per sempre che oltre ad essere virtuoso rispondeva alle leggi del bon-ton sino al punto di chiedere scusa ad un sottoposto, per aver disturbato a quell’ora. Passarono solo due giorni quando venni a sapere che il maresciallo addetto al vettovagliamento era stato denunciato al Tribunale militare per furto. Non ho creduto perché conoscevo i sentimenti, la bontà d’animo e il rigore del maresciallo, anche se la voce che circolò in caserma è stata quella che era sotto controllo da diversi mesi. Ma ciò che ricordo bene, e che data la realtà che viviamo viene grazie a Dio lenita dal maresciallo Francioso, è aver successivamente saputo che questo maresciallo aveva cinque figli e i genitori anziani da mantenere di cui uno ammalato seriamente, e che la roba che sottraeva per bisogno la vendeva per poche lire ad un bar delle vicinanze. Tempi forse di ruberie pulite e di furti disperati che evocano il libro cuore, anche se sempre ruberie e furti, a fronte dei quali però i 5.000 euro di mazzetta , richieste ripetutamente da questo tenente colonnello della Cecchignola mi fanno pensare a quel povero sottufficiale con tanto nostalgia e compassione. E me lo fanno affiancare a Francioso. Ma anche tempi di solidarietà diffusa e ben mascherata sotto una divisa militare perché ho poi saputo che il mio colonnello comandante non ha usato il bastone forte, ma comprendendo la situazione ha chiesto solo che il maresciallo del caffè e dello zucchero, venisse trasferito in altra caserma e adibito ad altri servizi.
In una Milano inebetita dal caldo, irritata e piena di pruriti per le zanzare e le notizie di questi giorni, penso che la storia ddel maresciallo giuseppe e del ragazzino sia una di quelle che uniche , bisognerebbe leggere ogni giorno.
nel senso che in questa stopria non c’è un happy-end melenso alla moda americana, ma comunque è lasciato uno spiraglio un pertigio all’happy-end
e questa era la saggezza degli antichi scrittori che dopo aver narrato casi tremendi e pietosi finivano le loro opere con ” e vissero felici e contenti3
e anche dei vecchi film, tipo Casablanca, che hanno come fine non un melenso heppy-end, ma comunque uno spiraglio alla speranza…
perchè devo dirlo, la speranza, il credere che qualcosa potrà essere positivo, essere gioioso, essere amorevole , e non essere una fregatura, un impostura, una ipocrisia , una maschera, insomma la speranza in un mondo migliore, virtù cristiana, + la più difficile , credetemi, al giorno d’oggi, per esempio in una Milano inebetita dal caldo, irritata dalla zanzare, cuore dolente di una epoca senza happy-end———
MC
Scusatemi per i numerosi errori del post precedente.
Ho la testa in ebollizione dopo 8 ore di lavoro a 40 gradi,ma credo che si capisca , a spanne, cosa voglio, rozzamente, esprimere.
sono felice per il ragazzino adottato dal maresciallo.
sono infelice per mille altri motivi.
MC
Discepolo Mc, quello che hai scritto è bellissimo. L’ho letto e riletto. E’ bellissimo.
Molto bella come storia … un po’ happy-end per il bambino, ma non per i genitori.
Ma a me ha colpito più che altro l’espressione del bambino:
“sono felice come una belva”.
Espressione forte che può destare gioia, ma anche preoccupazione perchè una belva è sempre e comunnque aggressiva.
Sarà anche un happy-end, ma non è ancora finita la storia della salvezza di questo bambino (e chissà che grattacapi ha dato/sta dando e darà questo bambino ai geitori adottivi.
Belle storie citate, ma sarebbero ancor più belle se vissute vicino a queste persone.
Complimenti, Maria Cristina, per la citazione di “Casablanca”, grandissimo film !
Buona giornata a tutti.
Roberto 55